Per un attimo, IMMAGINATE l’Italia con tutti questi uomini, guerrieri della pace, democrazia, libertà, giustizia, libertà della parola, libertà di stampa: VIVI, ciascuno invecchiando dignitosamente, dopo aver faticato, ciascuno nel suo campo di lavoro. Poteva mai essere la stessa Italia di oggi? Costruite scenari, ideate soluzioni, chi sa, magari si avverano. Sono scomparsi uno ad uno, ma erano collegati AL BENE COMUNE. Quando sono caduti, fu il male, quanche Giuda, a ideare, suoi discepoli a portare a termine, causando un male non generico, ma un male che deturpa il BENE COMUNE. Vivere, lavorare, con-vivere nei ambienti dove certi Giuda, Guida – spostando di una lettera dalla destra alla sinistra, capita il male assoluto: tradimento e la morte. Quanto è vecchia questa radice, dall’alba dell’umanità, mai completamente sradicata. E’ un lavoro, sradicare il male, la falsità, un lavoro comune, universale, generazionale. Ogni nazione, con suoi uomini che lavorano ciascuno – nel suo campo di azione, come Dio comanda.
Martiri per la Giustizia, Libertà e Democrazia
Mi sono resa conto che non c’è mai stato detto il nome dei 5 uomini della scorta di ALDO MORO ??!! invece ci sono RIVERA, LEONARDI, RICCI, IOZZINO E ZIZZI
Nel SUD Italia, Casali del Manco un giovane Comune nato il 05 maggio 2017 – contro la mafia, hanno scelto come Santo Patrono – Santo Giovanni Paolo II
Non a destra, non a sinistra, non al centro, ma in alto – don Primo Mazzolari
Direte che non c’è un alto in politica e che, se mai, vale quanto la destra, la sinistra, il centro. Nominalismo mistico in luogo di un nominalismo politico: elemento di confusione non di soluzione.
E’ vero che una nuova strada non cambia nulla se l’uomo non si muove con qualche cosa di nuovo, e che un paese può andare verso qualsiasi punto cardinale e rimanere qual è. Ma se gli italiani fossero d’accordo su questo fatto, la fiducia, della tonomastica parlamentare sarebbe felicemente superata.
Fa comodo ai neghittosi credersi arrivati per il solo fatto di muoversi da destra invece che da sinistra. Saper la strada o aver imbroccato la strada giusta non vuol dire camminarla bene o aver raggiunto la méta.
Il fariseismo rivive in tanti modi e temo che questo sia uno dei più attuali.
La giustizia è a sinistra, la libertà al centro, la ragione a destra. E nessuno chiede più niente a se stesso e incolpa gli altri di tutto ciò che manca, attribuendosi la paternità di ogni cosa buona.
Non dico che siano sbagliate le strade che partono da destra, da sinistra o dal centro: dico solo che non conducono, perché sono state cancellate come strade e scambiate per punti d’arrivo e di possesso.
La sinistra è la giustizia – la destra è la ragione – il centro libertà. E siamo così sicuri delle nostre equazioni, che nessuno s’accorge che c’è gente che scrive con la sinistra e mangia con la destra: che in piazza fa il sinistro e in affari si comporta come un destro: che l’egoismo di sinistra è altrettanto lurido di quello di centro, per cui, destra, sinistra e centro possono divenire tre maniere di «fregare» allo stesso modo il Paese, la Giustizia, la Libertà, la Pace.
L’alto cosa sarebbe allora?
Una destra pulita, una sinistra pulita, un centro pulito, in virtù di uno sforzo di elevazione e di purificazione personale che non ha nulla a vedere con la tessera.
Come ieri per la salvezza non contava il circonciso né l’incirconciso, così oggi non conta l’uomo di destra né l’uomo di sinistra, ma solo la nuova creatura: la quale lentamente e faticosamente sale una strada segnata dalle impronte di Colui, che arrivato in alto, si è lasciato inchiodare sulla Croce a braccia spalancate per dar la sua mano forata a tutti gli uomini e costruire il vero arco della Pace.
(don Primo Mazzolari)
Avvocato Giorgio Ambrosoli …
11 luglio1979. A Milano uccisione dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona. Il killer è il mafioso William Aricò, che il 21 febbraio del 1984, durante un processo, cadrà dal nono piano del Memorial Correctional Center di New York. Condannato all’ergastolo come mandante il banchiere Sindona, successivamente morto di veleno in carcere.
21 settembre 1990 – due articoli: il Timone marzo 2018, autore, Andrea Zambrano e novembre 2016, Messagero di Sant’Antonio, Elvio Fassone
http://www.marcelloveneziani.com/articoli/perche-borsellino-fu-davvero-un-eroe/
Il 25 giugno 1992 Paolo Borsellino interviene ad un dibattito organizzato dalla rivista Micromega presso l’atrio della Biblioteca Comunale di Palermo;sarà il suo ultimo intervento pubblico. Il video è frutto del lavoro del giornalista Pippo Ardini, scomparso l’8 dicembre 2009.
Una storia di mani – Don Primo Mazzolari
Una storia di povere mani, che denudano, inchiodano, giocano a dadi, spaccano il cuore.
Tu lo sai, tu lo vedi, o Signore.
Prima di giudicare, però, pensiamoci.
Ci sono dentro anche le nostre mani.
Mani che contano volentieri il denaro, mani che legano le mani agli umili, mani che applaudono le prepotenze dei violenti, mani che spogliano i poveri, mani che inchiodano perché nessuno contenda il nostro privilegio, mani che invano cercano di lavare le proprie viltà, mani che scrivono contro la verità, mani che trapassano i cuori.
La tua morte è opera di queste mani, che continuano nei secoli l’agonia e la passione.
Se potessimo dimenticare queste mani, se ci fosse un’acqua per lavare queste mani.
Per dimenticare le mie mani, ho bisogno di guardare altre mani, di sostituire le mie mani spietate con le mani misericordiose della Madonna, della Maddalena, di Giovanni, del Centurione che si batte il petto… della Veronica, del Cireneo.
Fonte: Preghiere, ed. La Locusta
Nostro fratello Giuda – Don Primo Mazzolari
Miei cari fratelli, è proprio una scena d’agonia e di cenacolo.
Fuori c’è tanto buio e piove. Nella nostra Chiesa, che è diventata il Cenacolo, non piove, non c’è buio, ma c’è una solitudine di cuori di cui forse il Signore porta il peso.
C’è un nome, che torna tanto nella preghiera della Messa che sto celebrando in commemorazione del Cenacolo del Signore, un nome che fa’ spavento, il nome di Giuda, il Traditore.
Un gruppo di vostri bambini rappresenta gli Apostoli; sono dodici. Quelli sono tutti innocenti, tutti buoni, non hanno ancora imparato a tradire e Dio voglia che non soltanto loro, ma che tutti i nostri figlioli non imparino a tradire il Signore.
Chi tradisce il Signore, tradisce la propria anima, tradisce i fratelli, la propria coscienza, il proprio dovere e diventa un infelice.
Io mi dimentico per un momento del Signore o meglio il Signore è presente nel riflesso del dolore di questo tradimento, che deve aver dato al cuore del Signore una sofferenza sconfinata.
Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. E’ uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore.
Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda.
Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore.
Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: “Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo!”
Amico! Questa parola che vi dice l’infinita tenerezza della carità del Signore, vi fa’ anche capire perché io l’ho chiamato in questo momento fratello. Aveva detto nel Cenacolo non vi chiamerò servi ma amici.
Gli Apostoli son diventati gli amici del Signore: buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono sempre gli amici. Noi possiamo tradire l’amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore. Giuda è un amico del Signore anche nel momento in cui, baciandolo, consumava il tradimento del Maestro.
Vi ho domandato: come mai un apostolo del Signore è finito come traditore? Conoscete voi, o miei cari fratelli, il mistero del male? Sapete dirmi come noi siamo diventati cattivi? Ricordatevi che nessuno di noi in un certo momento non ha scoperto dentro di sé il male.
L’abbiamo visto crescere il male, non sappiamo neanche perché ci siamo abbandonati al male, perché siamo diventati dei bestemmiatori, dei negatori. Non sappiamo neanche perché abbiamo voltato le spalle a Cristo e alla Chiesa.
Ad un certo momento ecco, è venuto fuori il male, di dove è venuto fuori?
Chi ce l’ha insegnato?
Chi ci ha corrotto?
Chi ci ha tolto l’innocenza?
Chi ci ha tolto la fede?
Chi ci ha tolto la capacità di credere nel bene, di amare il bene, di accettare il dovere, di affrontare la vita come una missione.
Vedete, Giuda, fratello nostro! Fratello in questa comune miseria e in questa sorpresa!
Qualcheduno però, deve avere aiutato Giuda a diventare il Traditore.
C’è una parola nel Vangelo, che non spiega il mistero del male di Giuda, ma che ce lo mette davanti in un modo impressionante: “Satana lo ha occupato”. Ha preso possesso di lui, qualcheduno deve avervelo introdotto.
Quanta gente ha il mestiere di Satana: distruggere l’opera di Dio, desolare le coscienze, spargere il dubbio, insinuare l’incredulità, togliere la fiducia in Dio, cancellare il Dio dai cuori di tante creature.
Questa è l’opera del male, è l’opera di Satana.
Ha agito in Giuda e può agire anche dentro di noi se non stiamo attenti.
Per questo il Signore aveva detto ai suoi Apostoli là nell’ orto degli ulivi, quando se li era chiamati vicini: “State svegli e pregate per non entrare in tentazione”.
E la tentazione è incominciata col denaro. Le mani che contano il denaro. Che cosa mi date? Che io ve lo metto nelle mani? E gli contarono trenta denari. Ma glieli hanno contati dopo che il Cristo era già stato arrestato e portato davanti al tribunale.
Vedete il baratto! L’amico, il maestro, colui che l’aveva scelto, che ne aveva fatto un Apostolo, colui che ci ha fatto un figliolo di Dio; che ci ha dato la dignità, la libertà, la grandezza dei figli di Dio. Ecco! Baratto! Trenta denari! Il piccolo guadagno. Vale poco una coscienza, o miei cari fratelli, trenta denari. E qualche volta anche ci vendiamo per meno di trenta denari. Ecco i nostri guadagni, per cui voi sentite catalogare Giuda come un pessimo affarista.
C’è qualcheduno che crede di aver fatto un affare vendendo Cristo, rinnegando Cristo, mettendosi dalla parte dei nemici.
Crede di aver guadagnato il posto, un po’ di lavoro, una certa stima, una certa considerazione, tra certi amici i quali godono di poter portare via il meglio che c’è nell’anima e nella coscienza di qualche loro compagno.
Ecco vedete il guadagno? Trenta denari! Che cosa diventano questi trenta denari?
Ad un certo momento voi vedete un uomo, Giuda, siamo nella giornata di domani, quando il Cristo sta per essere condannato a morte. Forse Lui non aveva immaginato che il suo tradimento arrivasse tanto lontano. Quando ha sentito il crucifigge, quando l’ha visto percosso a morte nell’atrio di Pilato, il traditore trova un gesto, un grande gesto.
Va’ dov’erano ancora radunati i capi del popolo, quelli che l’avevano comperato, quella da cui si era lasciato comperare. Ha in mano la borsa, prende i trenta denari, glieli butta, prendete, è il prezzo del sangue del Giusto. Una rivelazione di fede, aveva misurato la gravità del suo misfatto. Non contavano più questi denari. Aveva fatto tanti calcoli, su questi denari.
Il denaro. Trenta denari. Che cosa importa della coscienza, che cosa importa essere cristiani? Che cosa ci importa di Dio? Dio non lo si vede, Dio non ci da’ da mangiare, Dio non ci fa’ divertire, Dio non da’ la ragione della nostra vita. I trenta denari. E non abbiamo la forza di tenerli nelle mani. E se ne vanno. Perché dove la coscienza non è tranquilla anche il denaro diventa un tormento.
C’è un gesto, un gesto che denota una grandezza umana. Glieli butta là. Credete voi che quella gente capisca qualche cosa? Li raccoglie e dice: “Poiché hanno del sangue, li mettiamo in disparte. Compereremo un po’ di terra e ne faremo un cimitero per i forestieri che muoiono durante la Pasqua e le altre feste grandi del nostro popolo”.
Così la scena si cambia, domani sera qui, quando si scoprirà la croce, voi vedrete che ci sono due patiboli, c’è la croce di Cristo; c’è un albero, dove il traditore si è impiccato. Povero Giuda.
Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il Cristo; è quello di disperare. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui.
Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda.
Provate a confrontare queste due fini. Voi mi direte: “Muore l’uno e muore l’altro”. Io però vorrei domandarvi qual è la morte che voi eleggete, sulla croce come il Cristo, nella speranza del Cristo, o impiccati, disperati, senza niente davanti.
Perdonatemi se questa sera che avrebbe dovuto essere di intimità, io vi ho portato delle considerazioni così dolorose, ma io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda.
Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore.
E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia.
E adesso, che prima di riprendere la Messa, ripeterò il gesto di Cristo nell’ ultima cena, lavando i nostri bambini che rappresentano gli Apostoli del Signore in mezzo a noi, baciando quei piedini innocenti, lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro. E lasciate che io domandi a Gesù, a Gesù che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo, lasciate che io gli domandi, come grazia pasquale, di chiamarmi amico.
La Pasqua è questa parola detta ad un povero Giuda come me, detta a dei poveri Giuda come voi.
Questa è la gioia: che Cristo ci ama, che Cristo ci perdona, che Cristo non vuole che noi ci disperiamo. Anche quando noi ci rivolteremo tutti i momenti contro di Lui, anche quando lo bestemmieremo, anche quando rifiuteremo il Sacerdote all’ultimo momento della nostra vita, ricordatevi che per Lui noi saremo sempre gli amici.
(don Primo Mazzolari)
Fonte: http://www.giovaniemissione.it/
https://www.raiplay.it/video/2020/07/La-Grande-Storia-Anniversari—Paolo-Borsellino—I-segreti-e-le-menzogne-27aaad33-c1d5-4d8d-97c0-cbe845e8f003.html
Peschiera del Garda, Quarto Savona 15, Strage di Capaci, Tra Capaci e Via D’Amelio 57 giorni
Sono anch’io un crocefisso – don Primo Mazzolari
Questa sera il tabernacolo è vuoto, la croce è nuda, chiuso il sepolcro, gli altari desolati, ma la Messa continua sugli ignoti calvari di una terra ove ogni picco, ogni greco, ogni preda è un tabernacolo, un altare, una croce.
Il mio prete ha tolto anche i grossi candelieri di ferro battuto: sull’altare non c’è che il grande crocifisso e la sua ombra fatta anche più grande.
Questa nudità m’agghiaccia.
Ho l’impressione di trovarmi per la prima volta in faccia alla morte, all’ingiustizia, al dolore, alla guerra…
Come siano arrivate queste nostre tristezze fin sull’altare, non so: come si siano legate a quel tronco, fatte una sola cosa col crocifisso, non so…
So che ci sono anch’io lassù, sul legno, inchiodato sul legno…
inchiodato con la fame di tutti gli uomini,
con l’esilio di tutti,
con la desolazione di tutti,
con l’odio che fa la guerra,
con la menzogna che fa l’ingiustizia.
Son venuto per vedere e mi trovo inchiodato. Sono anch’io un crocifisso!
Quanti siamo qui o anche gli altri …, tutti dei crocifissi.
Ogni tentativo di fuga mi è impossibile questa sera. Cristo mi fa uomo con lui, come lui, uomo di dolore, uomo di offerta.
Le mie ragioni non tengono: i miei alibi son falsi; ci sono arrivato per tutte le strade, con tutti i disperati, i percossi, gli affamati, con tutti i felici, gli oppressori, i sazi…
Il crocifisso è mio: io sono nel crocifisso.
Chi mi ha condotto in chiesa questa sera? Chi m’ha gettato contro codesto crocifisso enorme proprio in questo Venerdì santo? Tutti e nessuno.
Bisognava pure che quel «resto» senza nome, che nessuno vuole, che nessuno capisce, lo mostrassi a qualcuno: bisognava trovargli un nome (c’è troppa orfanezza nel mio cuore!), un rifugio.
E adesso che ne so il nome, che ne vedo il volto, cos’ho guadagnato?
Quando troverò uno che ha fame… non gli potrò più dire (era così spiccio e comodo!): «Non so chi tu sia», perché ti ho visto.
Davanti allo sguardo mortificato del mio operaio, al quale nego l’aumento del salario, adesso che tutto cresce, non potrò più voltargli le spalle dignitoso e sdegnato, perché io non ti posso più licenziare, o Cristo.
Se vedrò piangere, non potrò più scantonare, perché sei tu che piangi.
Quando leggerò dei morti che la guerra ammucchia, non potrò pensare che i miei dividendi crescono per la sola ragione che gli altri muoiono, perché tu mi obbligheresti a guardarmi le mani. E chi può guardare delle mani, le proprie mani che grondano sangue? Questo ho guadagnato stasera.
Il «resto» che da anni e anni, con sforzi disumani ero riuscito a serrare in un angolo morto della mia anima, ha rotto gli argini, m’inonda e mi sommerge. Per la prima volta, a faccia aperta, ho fissato in volto il mio male.
Crocifissi come te.
Ma tu, dall’alto della tua croce, invochi perdono: noi, dalla nostra croce, odiamo;
tu doni il Paradiso a un ladrone, noi togliamo il pane anche all’orfano.
Tu sulla croce, sei nudo, sei l’uomo.
Noi siamo obbligati a portare la maschera dell’uomo forte, dell’uomo grande, dell’uomo implacabile… fin sulla croce.
Signore, toglimi questa maschera, fammi vedere come sono, come siamo per avere almeno pietà gli uni degli altri.
Tu ci hai comandato di amarci gli uni gli altri come tu ci ami.
Ho paura che quel giorno sia ancora molto lontano, troppo lontano.
Almeno potessimo arrivare ad aver pietà gli uni degli altri!
A vivere e a morire da uomini, da poveri uomini come siamo, in pace con noi stessi!
(don Primo Mazzolari)
Fonte: Tempo di passione di Primo Mazzolari, Paoline 2005
https://www.raiplay.it/video/2020/05/Enzo-Biagi-le-grandi-interviste—Tommaso-Buscetta-e-la-mafia-5ef1d6a6-e14e-448d-903c-691be7afdc2a.html
Enzo Biagi
https://www.raiplay.it/video/2019/12/raitre-per-enzo-biagi-speciale-gesu-190b8dec-1717-4868-ae1f-3195718212b7.html Speciale Gesù – per Enzo Biagi
Si cerca un uomo – don Primo Mazzolari
Si cerca per la Chiesa
un prete capace di rinascere
nello Spirito ogni giorno.
Si cerca per la Chiesa un uomo
senza paura del domani
senza paura dell’oggi
senza complessi del passato.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che non abbia paura di cambiare
che non cambi per cambiare
che non parli per parlare.
Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di vivere insieme agli altri
di lavorare insieme
di piangere insieme
di ridere insieme
di amare insieme
di sognare insieme.
Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di perdere senza sentirsi distrutto
di mettere in dubbio senza perdere la fede
di portare la pace dove c’è inquietudine
e inquietudine dove c’è pace.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che sappia usare le mani per benedire
e indicare la strada da seguire.
Si cerca per la Chiesa un uomo
senza molti mezzi,
ma con molto da fare,
un uomo che nelle crisi
non cerchi altro lavoro,
ma come meglio lavorare.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che trovi la sua libertà
nel vivere e nel servire
e non nel fare quello che vuole.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che abbia nostalgia di Dio,
che abbia nostalgia della Chiesa,
nostalgia della gente,
nostalgia della povertà di Gesù,
nostalgia dell’obbedienza di Gesù.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che non confonda la preghiera
con le parole dette d’abitudine,
la spiritualità col sentimentalismo,
la chiamata con l’interesse,
il servizio con la sistemazione.
Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di morire per lei,
ma ancora più capace di vivere per la Chiesa;
un uomo capace di diventare ministro di Cristo,
profeta di Dio, un uomo che parli con la sua vita.
https://www.carmenwebdesign.it/john-e-robert-kennedy-gli-uomini-della-nuova-frontiera/
Ho trovato molto utile per la gioventù, ma non solo la formazione che va proposta da una Associazione, Sulle Regole
https://www.formazione-sulleregole.it/concetti-chiave-ordine-sommerso/
Le loro citazioni sulla responsabilità
CITAZIONI
“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.” Martin Luther King
“Esiste una cosa che si chiama responsabilità per le cose che si sono fatte: si è responsabili di esse.” Hannah Arendt
“Ognuno è responsabile di tutti.” Antoine de Saint-Exupéry
“Non reagire è una reazione: siamo altrettanto responsabili di ciò che non facciamo.” Jonathan Safran Foer
“L’affidare delle responsabilità è la chiave del successo con i ragazzi, specie coi più turbolenti e difficili.” Robert Baden-Powell
sulla dignità
“Non lasciare che un uomo difenda la sua dignità, ma fai che la sua dignità difenda lui.” Ralph Waldo Emerson
“Che appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso.” Primo Levi
CITAZIONI
“Nessuno protegge meglio un essere umano contro la stupidità del pregiudizio, del razzismo, del settarismo religioso e politico e del nazionalismo esclusivo, che questa verità che invariabilmente compare nella grande letteratura: che gli uomini e le donne di ogni luogo e nazione sono essenzialmente uguali, e solo l’ingiustizia semina tra loro la discriminazione, la paura e lo sfruttamento.” Mario Vargas Llosa
“Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde ‘razza umana’, non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. È questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza.” Giuseppe Pontiggia
“A Roma tutto si compra.” Decimo Giunio Giovenale
“Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri, traditori, non è vittima, è complice.” George Orwell
“C’era un Paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioè chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia.” Italo Calvino
“Niente è più deprecabile del rispetto basato sulla paura.” Albert Camus
“Quando tra gli imbecilli ed i furbi si stabilisce una alleanza, state bene attenti che il fascismo è alle porte.” Leonardo Sciascia
“Questo continuo spostamento dei confini tra legalità e illegalità produce un disagio altissimo, che non è solo morale. Diventa un fatto di costume sociale. È quel che io chiamo la morale del motorino, che imperversa in Italia. Con il motorino si può evitare la fila, destreggiarsi tra le auto e poi passare con il rosso. Tanto con il motorino si ha facilità di manovra, si può andare contromano, si fa lo slalom. Insomma, si fa quel che si vuole, fregandosene delle regole. Che anzi, diventano un elemento di fastidio, di disturbo.” Andrea Camilleri
“Ciascun volto è il simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi.” Tahar Ben Jelloun
“L’educazione è non il rispetto delle regole ma il rispetto degli uomini.” Anonimo
https://www.formazione-sulleregole.it/concetti-chiave-legalita-rispetto-furbizia/
AMICIZIA TRA STATI: ROMANIA – POLONIA – ISRAELE
50 anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale
LA STRADA D’ORO
La Romania aiuta la Polonia invasa dalle orde hitleriane
Non è un buon narratore, anche se cerca di dare alle parole il senso di un’imitazione di Creanga. Lo si percepisce fin dall’inizio, perché il protocollo che utilizza per le sue raccomandazioni mostra un modello mutuato: “Darie Costache, figlio di Nică e Saftei del villaggio di Cursești nella valle di Racovei, contea di Vaslui”.
Quando iniziò la Prima Guerra Mondiale aveva appena terminato le scuole elementari e andò a scuola solo tre anni dopo, nel 1919. Dopo la scuola secondaria ha frequentato la Scuola Militare di Fanteria a Bucarest. Questa scuola, dice, si trovava in via Izvor, vicino allo stadio dell’ANEF. Fece tre giorni di lezioni e tre giorni di addestramento sul campo, più altre “scorribande”, e gli sembra che ancora oggi abbia i calli delle estenuanti marce al termine delle quali vide i gradi di sottotenente sulle spalle. Poi, per caso, dopo un addestramento speciale, dopo essersi diplomato in altri corsi e dopo un periodo in diverse guarnigioni, divenne insegnante in una scuola di gendarmi a Oradea e vi rimase fino al 1939, quando gli eventi del mondo resero irrilevante il fatto che fosse o meno un buon narratore. Ci sarà una guerra o no? – questa era la domanda. “D’ora in poi”, si legge nell’editoriale del giornale governativo “Romania” del 25 agosto, “i nervi del popolo non potranno più essere stirati, succhiati o contorti senza il pericolo di vederli rompersi come corde che hanno vibrato troppo”.
Dopo la “crisi di Danzica”, alle 4.45 del 1° settembre la Germania di Hitler attaccò la Polonia. Era, infatti, l’inizio della Seconda guerra mondiale e proprio quel giorno Nicolae Iorga pronunciò queste parole profetiche: “Non sarà la tecnica superiore a vincere, ma l’intelligenza dei leader, ispirata dalla convinzione di combattere per la giustizia e l’umanità“. E ancora: “Ogni speranza di colpi improvvisi e decisivi sarà infranta dalla resistenza di cui sono capaci solo i popoli che hanno il culto dell’onore e l’abitudine secolare al sacrificio“. Inghilterra e Francia stavano per entrare in guerra, in quella che sarebbe stata chiamata, sul fronte occidentale, “la strana guerra”, in cui le operazioni militari erano limitate all'”attività locale degli elementi di contatto”. In seguito all’accordo polacco-romeno del 16 settembre, nella notte tra il 17 e il 18 settembre e nei giorni successivi, l’esodo dei rifugiati polacchi verso i confini della Romania assunse proporzioni drammatiche. Nelle parole di un funzionario rumeno con incarichi amministrativi nel nord della Moldavia: “Abbiamo il dovere di accoglierli con benevolenza, di aiutarli in questi momenti di disperazione e di bisogno. Mi rivolgo ai teneri cuori dei moldavi, la cui ospitalità e buona volontà sono diventate proverbiali, e chiedo la loro più calorosa assistenza ai rifugiati polacchi quando le autorità lo richiederanno”.
Testimonianza di un uomo polacco: “Abbiamo trovato mense speciali, che erano in piena attività; la Croce Rossa, non appena le prime colonne di rifugiati sono apparse al confine, ha organizzato tali mense lungo il loro percorso, così che ovunque abbiamo ricevuto un’assistenza che ci ha commosso profondamente. Non c’è città che abbiamo attraversato in cui non abbiamo trovato un simile sostegno”. Ecco un’altra testimonianza, di uno scrittore: “Davanti a noi, in terra rumena, la brava gente ci ha accolto con latte, pane, frutta – l’amore sui loro volti pacifici. E tutto intorno, l’occhio scorge una terra fertile e matura, il volto di un Paese ricco e felice che, nei confronti di chi ha perso la propria patria, non ha ancora dimenticato quel dovere cristiano e il più alto di tutti: la carità. Più degli orrori di questa guerra, vivrà il ricordo di quell’atteggiamento cavalleresco che il popolo rumeno ha mostrato verso il popolo polacco nel momento del suo crollo”.
Già l’11 settembre, il governo polacco aveva informato in via confidenziale il governo rumeno che intendeva depositare all’estero gran parte della riserva aurea della Banca di Polonia. A tal fine, ha chiesto l’approvazione per il transito attraverso la Romania. Lo stesso giorno, il governo rumeno ha dato il suo consenso. Quando si seppe che il tesoro polacco, trasportato in treno, aveva lasciato il porto di Costanza ed era stato caricato su una nave britannica, il ministro tedesco a Bucarest, Fabricius, consegnò a Grigore Gafencu, ministro degli Esteri rumeno, una vigorosa protesta. Si riteneva che l’atteggiamento dei rumeni fosse stato contrario ai loro doveri di neutralità, poiché l’oro avrebbe potuto permettere ai polacchi di continuare la lotta contro la Germania. Grigore Gafencu ha risposto che, sebbene “il governo rumeno abbia rifiutato di ricevere quest’oro nel suo magazzino, non può opporsi al transito dell’oro polacco, che è una merce come un’altra”. Inoltre, nei giorni successivi, nuovi oggetti di valore appartenenti allo Stato polacco furono spediti in Occidente attraverso la Romania; una di queste spedizioni a Marsiglia fu effettuata dalla nave rumena “Suceava”. E non era un segreto nemmeno per la Germania di Hitler che il secondo carico d’oro polacco fosse conservato presso la Banca Nazionale di Romania. Anche Costache Darie, il “figlio dei contadini”, è stato coinvolto in quest’ultima spedizione.
Ai confini settentrionali del Paese, il Segretario di Stato per gli Interni, Gabriel Marinescu, ha assunto il comando delle forze di sicurezza nell’area. Anche il Reggimento delle Guardie a Piedi di Bucarest, in cui il capitano Costache Darie era stato mobilitato e a cui era stato affidato il comando della 6ª Compagnia, si recò sul posto. Quando si presentò a Gabriel Marinescu presso la sede della polizia, quest’ultimo gli parlò del carico d’oro polacco, gli disse “Capitano, si occupi lei di questa missione” e gli diede le istruzioni necessarie.
I polacchi avevano rimosso i sedili dagli autobus di Varsavia e stavano trasportando l’oro con quegli autobus. Accanto a ogni autista c’era un delegato polacco, un alto funzionario della banca, e su ogni autobus c’erano quattro finanzieri, persone della polizia bancaria. Accanto a ciascun delegato, Costache Darie installò un sottufficiale con una pistola automatica e fece salire i 4 finanzieri polacchi su un autobus con 4 gendarmi armati. In questo modo il convoglio partì per Suceava. E se Darie Costache ricorda bene, il convoglio era composto da 60 autobus, più una macchina d’intervento, più tre auto. A questi si sono aggiunti altri due autobus che trasportavano gendarmi. Quando il convoglio si è fermato, i gendarmi hanno immediatamente formato un cordone e nessuno poteva entrare o uscire dal cerchio. Il convoglio arrivò a Bacau sulla rotta Fălticeni-Romana. Qui, ricorda Costache Darie, vide sparare a quattro legionari. Le rappresaglie erano iniziate. Perché i legionari, “il nido di vipere cresciuto nel seno del Paese rumeno” – come scrisse un giornale in quei giorni – avevano assassinato il primo ministro rumeno, Arman Calinescu, il 21 settembre. Avevano trovato “una mano rumena alzata per uccidere l’ordine rumeno, per colpire alle spalle il consigliere dell’ordine interno e della difesa nazionale”. In quelle circostanze, quando si stavano verificando eventi drammatici ai confini settentrionali del Paese, quando gli ungheresi avevano ammassato 250.000 soldati alla frontiera rumena e quando, in generale, la situazione richiedeva il ridispiegamento delle forze armate e l’impiego di grandi unità in un sistema di difesa circolare, l’assassinio del leader politico rumeno appariva come un “atto spregevole”, avente “il carattere di un classico tradimento della nazione”.
In queste circostanze, Costache Darie aveva una missione da compiere e l’ha portata a termine. Attraverso Focșani, Râmnicu Sărat, Buzău, raggiunse Ploiești con il suo convoglio. Lì gli fu ordinato di guidare il convoglio nella foresta di Băneasa.. Con speciali misure di sicurezza, gli autobus sono stati indirizzati, uno per uno, verso la Banca Nazionale. L’operazione è avvenuta di notte. I pacchi venivano messi in scatole, poi toccava ai muratori chiudere le scatole con le pareti. È stato ben fatto, dice Costache Darie, e la sicurezza con cui pronuncia queste parole le fa sembrare più significative del solito.
Alla fine, alcuni delegati polacchi, guidati dal loro capo, Henryk Mikoljczyk, invitarono Costache Darie e il suo secondo in comando, un tenente di nome Mărușescu, a un pranzo al “Continental”. I polacchi hanno insistito affinché il menu fosse ordinato da rumeni. E non si sono complicati. Hanno chiesto una polenta con prosciutto d’oca. Quella pasta, ricorda Costache Darie, era molto buona, “si scioglieva in bocca”. Ai polacchi deve essere piaciuta altrettanto perché l’hanno ordinata di nuovo, con la polenta. In questo caso, quando Costache Darie lasciava il ristorante dell’hotel “Continental”, lasciava anche il palcoscenico dove si svolgevano le azioni di punta che sono rimaste nella storia.
Nonostante le pressioni che seguirono, nonostante le argomentazioni sui “diritti della Germania” in quanto Stato vincitore della guerra con la Polonia, i rumeni mantennero intatto il deposito d’oro polacco. Successivamente, il 17 settembre 1947, i rappresentanti delle due banche, Alexandru Jemăneanu e Aristide Constantinescu, da una parte, e Henryk Micolajczyk e Waclaw Polkowski, dall’altra, conclusero il processo verbale di consegna-ricezione, che recitava: “La Bank Polski dichiara di non avere alcun tipo di pretesa di alcun genere nei confronti della Banca Nazionale di Romania in relazione a questo deposito”.
Nel 1968, Costache Darie lesse un articolo nel “Magazin istoric” sul trasporto dell’oro polacco. Ha scritto alla rivista e gli è stato risposto immediatamente, chiedendogli ulteriori dettagli. E solo dopo aver fornito questi dettagli sentì che la sua missione era stata pienamente compiuta. In seguito, il tenente colonnello in pensione Costache Darie ha potuto dedicarsi, da pensionato, alla sua passione per l’orticoltura, trovando un campo adatto a questa passione presso il C.A.P. Ciurea, vicino a Iași, dove su 2 ettari di serra si coltivano fiori. Per molto tempo, fino a quando ha compiuto 80 anni, ha lavorato lì con rinnovato piacere ogni volta che si recava al negozio di esposizione della cooperativa e vedeva la gioia negli occhi di chi acquistava i fiori. Se la vita di ogni uomo è, in fondo, anche una missione, saper godere della gioia degli altri resta un modo, alla portata di tutti, per sapere di aver fatto il proprio dovere.
D. COSTANTINESCU
Almanacco Flacăra, 1988, pp. 138-139, Romania.