Senza scandalizzarsi, senza pregiudizi, usando l’onestà l’intellettuale si può?
V. Dignità del Sacramento. Lo stato Sacerdotale.
IL SIGNORE
“1. Se anche tu avessi la purità degli Angeli, la santità di Giovanni Battista, non saresti completamente degno di ricevere questo Sacramento, poiché non è dovuto ai meriti degli uomini, che un uomo possa consacrare e amministrare il Sacramento di Cristo e possa ricevere come cibo il pane degli Angeli.
Grande è questo mistero; grande è pure la dignità dei sacerdoti, cui è concesso ciò che neppure le creature celesti possono fare. Solo i sacerdoti legittimamente ordinati dalla Chiesa hanno facoltà di celebrare e consacrare il Corpo di Cristo. Così il sacerdote è ministro di Dio e si serve della parola divina per diretto comando e istituzione di Dio, il quale è dunque il principale autore e operatore invisibile, al cui volere ogni cosa è soggetta ed obbedisce.
2. Tu devi quindi credere più a Dio onnipotente in questo eccelso Sacramento, che non ai tuoi sensi od a qualunque segno visibile.
E pieno di timore e riverenza devi accostarti alla Comunione col Signore. O sacerdote di Dio, considera bene qual ministero ti fu affidato con la imposizione delle mani del vescovo. Eccoti sacerdote e consacrato per celebrare: bada ora a offrire nel tempo opportuno il sacrificio a Dio con fedeltà e devozione, e a mostrarti a tutti irreprensibile.
Non hai alleggerito il tuo peso, ma sei ora legato con un vincolo più stretto di disciplina, sei tenuto a una maggior perfezione di santità.
Il ministro del Signore deve essere ornato di tutte le virtù e dare agli altri l’esempio di una vita santa. La sua conversazione non deve essere col volgo e nei luoghi frequentati da tutti, ma in Cielo con gli Angeli, e in terra con gli uomini perfetti.
3. Il sacerdote, rivestito dei sacri paramenti, fa le veci di Cristo, per poter supplicare e pregare Dio umilmente per sé e per tutto il popolo. Ha davanti e dietro il segno della croce, che gli rammenta di continuo la Passione. Davanti, per osservare attentamente tutti i divini esempi e cercare di seguirli con fervore; dietro, per tollerare pazientemente, per amor di Dio, tutte le traversie che vengono dagli uomini. Davanti, affinché egli pianga i suoi peccati; dietro , affinché pianga di compassione anche quelli degli altri, e sappia di essere stato destinato quale intermediario fra Dio e il peccatore, e non trascuri di pregare ed offrire il santo Sacramento, sino a che meriti trarre grazia e misericordia.
Quando egli celebra, dà onore a Dio, letizia agli Angeli, edificazione alla Chiesa , soccorso ai vivi, refrigerio ai morti, e rende se stesso partecipe di tutti i beni celesti”.
Per capire ancora di più, la grande dignità dei Sacerdoti di fronte alla Corte Celeste . . . non trovo un altro esempio meglio di quello descritto nel “Diario” la Misericordia divina nella mia anima – di S. Maria Faustina Kowalska
pag.872: “Ero stanca e m’addormentai. La sera venne la suora che aveva il compito di assistermi, e mi disse:<<Sorella, domani lei non avrà il Signore Gesù, perché è molto affaticata e poi in seguito vedremo come andrà>>. La cosa mi addolorò enormemente, ma risposi con molta calma: <<Va bene>>, affidandomi completamente al Signore e cercai di addormentarmi. La mattina feci la meditazione e mi preparai per la santa Comunione, benché non dovessi ricevere il Signore Gesù. Quando il mio desiderio ed il mio amore raggiunsero il grado più alto, all’improvviso vidi accanto al mio letto un Serafino, che mi porse la santa Comunione pronunciando queste parole: <<Ecco il Signore degli Angeli>>. Dopo ebbi ricevuto il Signore, il mio spirito s’immerse nell’amore di Dio e nello stupore. Il fatto si ripeté per tredici giorni, però non avevo la certezza che il giorno dopo me l’avrebbe portata, ma abbandonandomi a Dio, avevo fiducia nella Sua bontà, e non osavo nemmeno pensare che l’indomani avrei ricevuto la santa Comunione in quel modo. Il Serafino era circondato da un grande splendore, traspariva da lui la divinizzazione e l’amor di Dio. Aveva una veste dorata e su di essa indossava una cotta trasparente ed una stola pure trasparente. Il calice era di cristallo ed era coperto da un velo trasparente. Appena m’ebbe dato il Signore, scomparve.
Una volta che avevo un dubbio, che mi era venuto poco prima della santa Comunione all’improvviso venne di nuovo il Serafino con il Signore Gesù. Io però rivolsi una domanda al Signore Gesù, e non avendo ricevuto risposta, dissi al Serafino:
<<Mi potresti confessare? >>. Ma egli mi rispose: <<Nessuno spirito celeste ha questo potere>>. In quell’istante l’Ostia si posò sulle mie labbra.”
Capitolo 111 – Dal Dialogo della Divina Provvidenza – Santa Caterina da Siena –
Dice il Dio Padre alla Santa …
Come i sensi del corpo, ma non quelli dell’anima, siano tratti in errore nel suddetto Sacramento, e perciò con questi si debba vedere, gustare e toccare. Bella visione di Caterina sopra tale materia.
O carissima figliuola, apri bene l’occhio dell’intelletto per guardare l’abisso della mia carità. Non vi è creatura ragionevole a cui non si dovesse sciogliere il cuore, per affetto di amore, nel vedere fra gli altri miei benefizi quello che ricevete in questo sacramento. Con quale occhio, o carissima figliuola , devi tu e gli altri vedere, guardare e toccare questo mistero? Non parlo solamente del tatto e della vista del corpo, perché tutti i sensi materiali vengono meno in questo sacramento. L’occhio non vede altro che la bianchezza di quel pane; la mano non tocca altro che il pane, il gusto non sente altro che il sapore del pane, cosicché i sensi grossolani del corpo restano ingannati; ma il sentimento dell’anima non può essere ingannato, se ella lo vorrà, cioè se ella non si vorrà togliere con la infedeltà il lume della santa fede.
Chi è che gusta, vede e tocca questo sacramento? E’ il sentimento dell’anima. Con che occhio lo vede? Con l’occhio dell’intelletto, se dentro l’occhio vi è la pupilla della santissima fede. Quest’occhio vede in quella bianchezza tutto Dio e tutto l’uomo, la natura divina unita con la natura umana, il corpo, l’anima e il sangue di Cristo, l’anima unita al corpo, il corpo e l’anima uniti con la mia indivisibile natura divina.
Così io te lo manifestai quasi al principio della tua vita, se ben ti ricordi, e non solo lo manifestai all’occhio del tuo intelletto, ma a quello del tuo corpo, sebbene questo, per la gran luce, perdesse la vista e gli rimanesse solo quella dell’occhio dell’intelletto.
Te lo mostrai a tua illuminazione, contro la battaglia che il demonio t’aveva data su questo sacramento, e per farti crescere nell’amore e nella luce della santissima fede. Ti ricordi che andando tu una mattina sull’aurora alla chiesa, per udire la messa, dopo essere stata innanzi tormentata dal demonio, ti ponesti ritta dinanzi all’altare del Crocifisso. Il sacerdote era venuto all’altare di Maria; ma tu stavi al tuo posto a considerare la tua miseria, temendo di avermi offeso, per la molestia che il demonio t’aveva data, e considerando ancora l’affetto della mia carità, che t’aveva fatta degna di udire la messa, poiché tu ti reputavi indegna di entrare nel mio santo tempio.
Venuto il ministro alla consacrazione, tu alzasti gli occhi sopra di lui , e mentre diceva le parole della consacrazione, io manifestai me stesso a te. Tu vedesti uscire dal mio petto una luce come il raggio che esce dalla ruota del sole, senza che si parta da essa ruota. In quella luce veniva una colomba, unita con la luce, ed essa percuoteva sopra l’ostia, in virtù delle parole della consacrazione, che diceva il ministro. Poiché il tuo occhio corporale non ebbe forza di sostenere quella luce, ti rimase la vista solo nell’occhio dell’intelletto, col quale vedesti e gustasti l’abisso della Trinità, Cristo tutto Dio e tutto uomo, nascosto e velato sotto quella bianchezza. Né la luce, né la presenza del Verbo, che vedesti intellettualmente nella bianchezza, toglievano la bianchezza del pane; l’una non impediva l’altra. Non eri impedita di vedere Dio e l’uomo in quel pane, né quel pane era impedito da me, cioè non gli erano tolti la bianchezza, il tatto, o il sapore.
Questo fu mostrato a te dalla mia bontà. A chi rimase la vista? Non all’occhio del corpo, ma a quello dell’intelletto con pupilla della santissima fede, ed è in quest’occhio che deve stare la vista principale, perché esso non può essere ingannato. Con esso dunque dovete guardare questo sacramento.
Chi è poi che lo tocca? La mano dell’amore. Con questa mano si tocca quello che l’occhio ha veduto e conosciuto in questo sacramento. Per fede l’uomo lo tocca con la mano dell’amore, quasi certificandosi di quello che per fede vide e conobbe intellettualmente.
Chi è che lo gusta? Il gusto del santo desiderio. Il gusto del corpo sente il sapore del pane; ma il gusto dell’anima, cioè il santo desiderio, gusta Cristo, Dio e uomo. Sicché tu vedi come i sensi del corpo siano ingannati, ma non il sentimento dell’anima; anzi essa ne è chiarificata e certificata in se stessa, perché l’occhio del suo intelletto ha potuto vedere con la pupilla della luce della santissima fede. Poiché lo vide e lo conobbe per fede, perciò lo tocca con la mano dell’amore, lo gusta col gusto dell’anima, con affocato desiderio, che è l’affocata mia carità, amore ineffabile.
Con questo amore l’ho fatta degna di ricevere un tanto mistero di questo sacramento, e la grazia che in esso si contiene. Vedi dunque che dovete ricevere e vedere questo sacramento non solo col sentimento materiale ma anche con quello spirituale, disponendo i sentimenti dell’anima con affetto d’amore, per vedere, ricevere e gustare questo sacramento.
Capitolo 112
Stato eccellente dell’anima che riceve in grazia questo sacramento.
Guarda, o carissima figliuola, in quanta eccellenza si trovi l’anima, che riceve come si deve questo pane di vita, cibo degli angeli. Ricevendo questo sacramento, sta in me ed io in lei. Come il pesce sta nel mare e il mare nel pesce, così io sto nell’anima e l’anima in me, mare pacifico. Nell’anima rimane la grazia, perché, avendo ricevuto questo pane di vita in grazia, questa rimane dopo che è stata consumata la specie del pane. Io vi lascio l’impronta della mia grazia, come l’impronta del suggello che si pone sopra la cera calda: levandosi il suggello, vi rimane la sua impronta.
Così nell’anima rimane la virtù di questo sacramento; vi rimane, cioè, il caldo della divina carità, la clemenza dello Spirito Santo. Vi rimane il lume della sapienza dell’Unigenito mio Figliuolo, restando illuminato l’occhio dell’intelletto da essa sapienza, per conoscere e vedere la dottrina della mia Verità, ed essa Sapienza.
Rimane nell’anima la fortezza, partecipando essa della mia fortezza e potenza, poiché io la faccio forte e potente contro la sua passione sensitiva, contro i demoni e contro il mondo. Sicché tu vedi come le rimanga l’impronta, levato che sia il suggello. Consumata quella materia, che sono gli accidenti del pane, questo vero Sole ritorna alla sua sfera; non credere però che se ne fosse staccato, poiché è sempre unito con me. Ma l’abisso della mia carità, per vostra salute e per darvi un cibo in questa vita, dove siete pellegrini e viandanti, ed affinché abbiate refrigerio e non perdiate la memoria del benefizio del sangue, ve l’ha dato in cibo per mia concessione e provvidenza, sovvenendo ai vostri bisogni, dandovi appunto in cibo questa mia dolce Verità.
Mira dunque quanto siate tenuti ed obbligati a rendermi amore, poiché io tanto vi amo, e sono la somma ed eterna bontà, degna d’essere amata da voi!
Capitolo 115
Della dignità dei sacerdoti, e come la virtù dei sacramenti non diminuisce per le colpe di chi li amministra o riceve. Dio non vuole che i secolari si impaccino a correggerli.
Questo facevano i dolci e gloriosi ministri, la cui eccellenza volevo che tu vedessi, oltre alla dignità che io avevo loro data col farli miei cristi , come già ti dissi. Esercitando con virtù questa dignità, si vestono di quel dolce e glorioso Sole, che io diedi loro a dispensare.
Guarda a Gregorio dolce, a Silvestro, agli altri antecessori e successori, che sono seguiti al principale pontefice Pietro, a cui furono date le chiavi del regno del cielo dalla mia Verità, col dirgli:<<O Pietro, io ti do le chiavi del regno del cielo, e cui tu scioglierai in terra sarà sciolto in cielo, e cui tu legherai in terra sarà legato in cielo>>(Mt 16,19).
Sta attenta, carissima figliuola , poiché manifestandoti l’eccellenza delle virtù di costoro, io ti mostrerò più pienamente la dignità nella quale ho posto i miei ministri. Questa è la chiave del sangue dell’Unigenito mio Figliuolo. Essa disserrò la via eterna, che da gran tempo era stata chiusa per il peccato d’Adamo. Ma dopo che io vi donai la mia Verità, il Verbo Unigenito mio Figliuolo, che sopportò morte e passione, egli con la sua morte distrusse la vostra morte, facendovi un bagno col suo sangue. Sicché il suo sangue e la sua morte disserrano la via eterna, in virtù della mia natura divina, unita con la natura umana.
A chi lasciò le chiavi di questo sangue? Al glorioso apostolo Pietro e a tutti gli altri, che sono venuti e verranno, di qui all’ultimo dì del giudizio, cosicché tutti hanno e avranno quella medesima autorità che ebbe Pietro.
Per nessun loro difetto diminuisce questa autorità, né si toglie la perfezione del Sangue, né ad alcun altro sacramento, perché già ti dissi che questo Sole non si lorda per nessuna immondezza, né perde la sua luce per le tenebre del peccato mortale che fossero in colui che lo amministra, o in colui che lo riceve. La sua colpa non può causare nessuna lesione ai sacramenti della santa Chiesa, né diminuire la loro virtù; però diminuisce la grazia e cresce la colpa in colui che l’amministra, ed in colui che li riceve indegnamente.
Così il Cristo in terra, che è il Sommo Pontefice, tiene le chiavi del Sangue, come io già te lo manifestai sotto una immagine, volendoti mostrare quanta riverenza i secolari devono avere a questi ministri, buoni o cattivi che siano, e quanto mi dispiace l’irriverenza.
Io ti proposi il corpo mistico della santa Chiesa sotto forma di cantina, nella quale sta il sangue dell’Unigenito mio Figlio, da questo sangue hanno valore e vita tutti i sacramenti. Alla porta di questa cantina sta Cristo in terra, a cui è commesso di somministrare il sangue: a lui spetta di assegnare i ministri che l’aiutino a distribuirlo per tutto il corpo della religione cristiana. Chi è accettato e unto da lui, è ministro; altri no.
Da lui esce tutto l’ordine clericale, e tutti i ministri vengono messi, ciascuno nel suo ufficio, ad amministrare questo glorioso sangue. E come egli ha posti quali suoi aiutanti, così a lui tocca correggere i loro difetti. Così deve essere, poiché , per l’eccellenza e autorità che io ho loro data, li ho tratti via dalla servitù, cioè dalla soggezione e dalla signoria dei capi temporali. La legge civile non ha da far niente con la legge loro per la punizione, ma solo lo può colui che è stato posto a signoreggiare e ad amministrare nella legge divina. Essi sono i miei unti, e perciò dissi per mezzo della Scrittura:<<Non vogliate toccare i miei cristi>> (Sal 104,15). L’uomo che se ne fa punitore, non potrebbe cadere in una rovina maggiore.
Nota. S. Gregorio I, Magno, fu papa dal 590 – 604;S. Silvestro I pontificò dal 314 – 335.
Capitolo 119
Eccellenza, virtù e opere sante dei ministri virtuosi e santi; come essi si rassomiglino al sole. La loro correzione verso i sudditi.
Per dare ora un poco di refrigerio all’anima tua, mitigherò il tuo dolore, cagionato dalle tenebre di questi miserabili cristiani, col parlarti della vita santa dei miei ministri. Io ti dissi che hanno la condizione del sole; con l’odore delle loro virtù tu mitigherai il fetore degli altri, e con la loro luce, le tenebre di quelli. Anzi voglio che con questa luce tu conosca meglio le tenebre e i difetti dei ministri indegni, di cui ti ho già parlato.
Apri l’occhio dell’intelletto, fissalo in me, sole di giustizia, e vedrai i gloriosi ministri, i quali avendo ministrato me che sono il sole, hanno preso la perfezione del sole, come ti dissi di Pietro, principe degli apostoli, che ricevé le chiavi del reame del cielo. Così ti dico degli altri, che nel giardino della santa Chiesa hanno ministrato il lume, che è il corpo e il sangue dell’Unigenito mio Figliuolo(vero Sole, non diviso ma unito) e tutti i sacramenti della santa Chiesa, i quali hanno validità e danno vita in virtù del Sangue. Ogni ministro è posto in diverso grado, secondo il suo stato, per dispensare la grazia dello Spirito Santo. Con che la dispensano? Col lume della grazia, tratta da questo vero lume.
Questo lume è egli solo? No, perché il lume della grazia non può essere solo né diviso: si ha tutto, o per niente. Chi sta in peccato è subito privato del lume della grazia; e chi ha la grazia, ha l’occhio del suo intelletto illuminato per conoscere me, che gli ho data la grazia e la virtù che conserva la grazia. Con quel lume conosce la miseria del peccato e la cagione del peccato, che è l’amor proprio sensitivo. Perciò l’odia, e odiandolo riceve il calore della divina carità nel suo affetto, poiché l’affetto va dietro all’intelletto. Riceve anche il colore di questo glorioso lume, seguendo la dottrina della mia dolce Verità; così la sua memoria si riempie del ricordo del benefizio avuto dal Sangue.
Sicché tu vedi come egli non possa ricevere il lume senza ricevere il caldo e il colore, perché sono uniti insieme, e sono una medesima cosa. E così non può avere una potenza disposta a ricevere me, vero Sole, senza che tutte e tre siano ordinate e raccolte nel mio nome.
Infatti, appena che l’occhio dell’intelletto si eleva col lume della fede sopra il vedere sensitivo per specchiarsi in me, l’affetto gli va dietro, amando quello che l’intelletto ha visto e conosciuto, mentre la memoria si empie di quello che l’affetto ama. E appena che esse sono ben disposte, l’uomo viene a partecipare di me, Sole, che illumino con la mia potenza, con la sapienza dell’Unigenito mio Figlio, e con la clemenza del fuoco dello Spirito Santo.
Così essi prendono la perfezione del sole, poiché, essendo vestiti di me ed avendo le potenze dell’anima piene di me, vero Sole, fanno come il sole. Esso scalda e illumina, e col suo caldo fa germinare la terra; così fanno questi miei dolci ministri, eletti, unti, e messi nel corpo mistico della santa Chiesa per dispensare me, Sole, cioè il Corpo e il Sangue dell’Unigenito mio Figlio, insieme agli altri sacramenti, che hanno vita da questo Sangue.
Essi lo amministrano corporalmente e spiritualmente, dando lume nel corpo mistico della santa Chiesa: lume di scienza soprannaturale col colore di vita onesta e santa, seguendo la dottrina della mia Verità; e amministrano ancora il caldo del ardentissima carità.
Col loro caldo fanno germinare le anime sterili, illuminandole col lume della scienza; con la vita santa e ordinata cacciano le tenebre dei peccati mortali e della molta infedeltà, riordinano la vita di coloro che vivono disordinatamente in tenebre di peccato ed in freddezza, per esser privi della carità. Sono un vero sole, avendo presa la perfezione del sole da me, vero Sole; poiché per affetto d’amore essi sono una cosa sola con me, come ti dissi in altro luogo.
Ognuno, secondo lo stato al quale l’ho eletto, ha dato lume nella santa Chiesa: Pietro con la predicazione, con la dottrina e in ultimo col sangue; Gregorio con la scienza, con la santa Scrittura, e con lo specchio della vita; Silvestro contro gli infedeli e massimamente con le dispute e con le prove che fece della santissima fede in parole e in fatti, ricevendo la virtù da me.
Se ti volgi ad Agostino, al glorioso Tommaso, a Girolamo e agli altri, vedrai quanto lume hanno gettato su questa Sposa, estirpando gli errori, quasi fossero lucerne poste sul candelabro, con vera e perfetta umiltà. E come affamati del mio onore e della salute delle anime, mangiavano con diletto questo cibo sulla mensa della santissima croce. I martiri col sangue, che gettava odore al mio cospetto, con l’odore del sangue e delle virtù, e col lume della scienza, facevano frutto in questa Sposa, dilatavano la fede, cosicché i tenebrosi venivano alla luce, e riluceva in essi il lume della fede. I prelati, posti nello stato di prelazione dal Cristo in terra, mi facevano sacrificio di giustizia con santa e onesta vita; in essi e nei loro sudditi riluceva la margherita della giustizia, con vera umiltà, con ardentissima carità, e col lume della discrezione.
Riluceva principalmente in essi, perché rendevano giustamente a me il mio debito, dando gloria e lode al mio nome; a se stessi invece rendevano odio e dolore della propria sensualità, spregiando i vizi e abbracciando le virtù con la carità mia e del prossimo.
Con umiltà conculcavano la superbia, e andavano come angeli alla mensa dell’altare; celebravano con purità di cuore e di corpo e con sincerità, arsi nella fornace della carità. E poiché avevano fatta giustizia prima su se stessi, perciò facevano giustizia sui sudditi, volendoli veder vivere virtuosamente; li correggevano senza timore servile, perché non attendevano a loro medesimi, ma solo all’onore mio e alla salute delle anime, seguendo come buoni pastori il buon Pastore, mia Verità, che io diedi per governare voi pecorelle, e volli che donasse la sua vita per voi.
Costoro hanno seguito le sue vestigia, e perciò corressero e non lasciarono imputridire i membri per mancanza di correzione; ma caritativamente correggevano con l’unguento della benignità, e bruciando con l’asprezza del fuoco la piaga del difetto con la riprensione e con la penitenza, poco o molto, secondo la gravezza del peccato. E per il correggere e dire la verità non curavano la morte.
Questi erano veri ortolani, che con sollecitudine e con santo timore svellevano le spine dei peccati mortali e piantavano piante odorifere di virtù. Perciò i sudditi vivevano in santo e vero timore, e crescevano come fiori odorosi nel corpo mistico della santa Chiesa. I prelati correggevano senza timore servile, perché ne erano privi. E siccome in loro non vi era colpa di peccato, perciò osservavano la santa giustizia, riprendendo virilmente e senza alcun timore.
Questa era ed è quella margherita rilucente, che dava pace e lume alle menti delle creature, le faceva stare in santo timore, e teneva uniti i cuori. Ora io voglio che tu sappia che per nessun’altra causa è venuta tanta tenebra e divisione nel mondo tra secolari e religiosi, tra chierici e pastori della santa Chiesa, se non perché il lume della giustizia è mancato ed è venuta la tenebra della ingiustizia.
Nessuno Stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in grazia senza la santa giustizia; perché colui che non è corretto e non corregge fa come il membro che è cominciato a imputridire: se il cattivo medico vi pone subito l’unguento solo, e non brucia la piaga, tutto il corpo imputridisce e si corrompe. Così il prelato, e gli altri signori che hanno sudditi, vedendo il membro del loro suddito essere imputridito per la puzza del peccato mortale, se vi pongono solo l’unguento della lusinga senza la riprensione, non guariscono mai, ma guasteranno le altre membra, che gli sono dintorno, e sono legate in uno stesso corpo ad uno stesso pastore. Ma se il prelato sarà vero e buon medico di quelle anime, come erano questi gloriosi pastori, non darà l’unguento senza il fuoco della riprensione. E se il membro fosse pure ostinato nel suo mal fare, lo toglierà dalla comunità, acciò che non infetti gli altri con la puzza del peccato mortale.
Ma essi non fanno oggi così; anzi fanno vista di non vedere. E sai tu perché? Perché in loro vive la radice dell’amor proprio, da cui traggono il perverso timore servile. Per timore di perdere lo Stato, le cose temporali o la prelazione, non correggono, ma fanno come accecati, e per questo non conoscono in che modo si conservi lo Stato; ché se vedessero come si conserva con la santa giustizia, la manterrebbero. Ma poiché sono privi del vero lume, non lo conoscono; credendolo conservare con la ingiustizia, non riprendono i difetti dei loro sudditi, ma sono ingannati dalla loro passione sensitiva e dall’appetito della signoria o della prelazione.
Inoltre non correggono, perché essi sono in quei medesimi difetti, o anche maggiori. Si sentono presi nella colpa, e perciò perdono l’ardire e la sicurezza; legati dal timore servile, fanno vista di non vedere. E se pure vedono, non correggono; anzi si lasciano legare con le parole lusinghevoli, e con molti doni, ed essi stessi trovano le scuse per non punirli. In costoro si compie la parola che disse la mia Verità: <<Costoro sono ciechi e guide di ciechi; se un cieco guida l’altro, ambedue cadono nella fossa>>(Mt 15,14; Lc 6,39).
Non hanno fatto né fanno così quelli che sono stati o sono miei dolci ministri, i quali, come ti dissi, hanno la proprietà e condizione del sole.
Sono essi un vero sole, poiché in loro non vi è tenebra di peccato né ignoranza, perché seguono la dottrina della mia Verità; né sono tiepidi, poiché ardono nella fornace della mia carità; sono spregiatori delle grandezze, stati e delizie del mondo, e perciò non temono di correggere. Chi non appetisce la signoria o la prelazione, non teme di perderla, ma riprende virilmente; e chi non si sente la coscienza ripresa dalla colpa, non teme.
Capitolo 126
Come nei suddetti iniqui ministri regna il peccato della lussuria.
Ti ho dato, o carissima figliuola, un accenno intorno alla vita di quelli che vivono nella santa religione, e ti ho detto quanta sia la miseria con cui stanno nell’Ordine con veste di pecora , mentre sono lupi rapaci. Ora ti ritorno ai chierici e ai ministri della santa Chiesa, per lamentarmi con te dei loro difetti, oltre a quelli che io ti ho esposto, mostrandoti nel passato le tre colonne dei vizi e lagnandomi con te di loro; cioè della immondezza, della gonfia superbia, e della cupidigia; poiché per cupidigia vendono le grazie dello Spirito Santo.
Di questi tre vizi l’uno dipende dall’altro, ed il fondamento di queste tre colonne è l’amor proprio. Esse, finché stanno ritte (poiché solo la forza dell’amore alla virtù può farle andare a terra), sono sufficienti a tenere l’anima ferma e ostinata in ogni altro vizio. Infatti, come ti ho detto spesso, tutti i vizi nascono dall’amor proprio, perché dall’amor proprio nasce il principale vizio, che è la superbia, e l’uomo superbo è privato della dilezione della carità; dalla superbia poi si giunge alla immondezza e all’avarizia. Così s’incatenano essi stessi con la catena del diavolo.
Ora, carissima figliuola, guarda con quanta miseria d’immondezza essi lordano il corpo e la loro mente. . .
Alcuni sono tanto demoni, che non solo non hanno riverenza al Sacramento e non tengono cara l’eccellenza, nella quale li ho posti per mia bontà, ma come se fossero del tutto fuori di mente, e per l’amore che hanno ad alcune creature da cui non possono avere quel che desiderano, fanno malie con incantesimi di demoni e col Sacramento stesso, che vi è dato in cibo di vita, per compiere i loro miserabili e disonesti pensieri, e mandare ad effetto, le loro volontà.
Invece de pascere l’anima e il corpo di quelle pecorelle, delle quali devono aver cura, le tormentano in questi ed altri modi su cui passerò sopra, per non darti più pena. E come hai veduto, le fanno uscire di memoria, venendo loro voglia di fare quello che non vorrebbero, a causa di quanto ha loro fatto quel demonio incarnato; anzi, per la resistenza che fanno a se stesse, ricevono gravissime pene nel corpo. Chi è che ha fatto questo e molti altri miserabili mali, che tu conosci senza che io te li narri? La disonestà e la loro mirabile vita. O carissima figliuola, costoro danno con tanta malvagità quella Carne di Cristo, che è elevata su tutti i cori degli angeli, per l’unione con la mia natura divina.
O abominevole e miserabile uomo, non uomo ma animale, tu dai alle meretrici, e anche peggio, quella carne che fu unta e consacrata a me! Non pensi che sul legno della santissima croce il Corpo piagato dell’Unigenito mio Figlio tolse via alla tua carne, e a quella di tutto il genere umano, quella piaga che Adamo aveva fatto col suo peccato? O misero! Egli ha fatto onore a te, e tu gli fai vergogna! Egli t’ha sanate le piaghe col suo sangue, e ancora di più, facendoti suo ministro, e tu lo percuoti con lascivi e disonesti peccati! Il pastore buono ha lavato le pecorelle nel suo sangue, e tu gli lordi quelle che sono pure, fai il possibile di metterle nel letame! Tu devi essere specchio d’onestà, e tu sei specchio di disonestà.
Hai indirizzate tutte le membra del tuo corpo a opere miserabili, e fai il contrario di quello che ha fatto per te la mia Verità. Io sopportai che gli fossero fasciati gli occhi, per illuminare te; e tu con gli occhi tuoi lascivi getti saette avvelenate nell’anima tua e nel cuore di coloro che guardi con tanta miseria. Io sopportai che egli fosse abbeverato di fiele e di aceto, e tu, come animale disordinato, ti diletti di cibi delicati, facendoti dio del tuo ventre. Nella tua lingua stanno disoneste e vane parole; invece tu sei tenuto con questa lingua ad ammonire il prossimo, ad annunziare la mia parola e a dire l’Uffizio col cuore e con la lingua tua. Io non sento altro che fetore, poiché tu giuri e spergiuri come se fossi un barattiere, e spesse volte tu mi bestemmi.
Io sopportai che gli fossero legate le mani, per sciogliere te e tutto il genere umano dal legame della colpa, invece tu laidamente eserciti in miserabili toccamenti le tue mani, unte e consacrate per amministrare il santissimo Sacramento. Tutte le tue operazioni, che sono significate dalle mani, sono corrotte e indirizzate a servizio del demonio. O misero! E dire che io t’ho posto in tanta dignità, perché tu serva solamente me, tu ed ogni altra creatura ragionevole!
Io volli che gli fossero confitti i piedi, facendo scala del suo Corpo; e quel costato, che fu aperto perché vedeste il segreto del cuore, io ve l’ho dato come una cantina aperta, in cui voi possiate vedere e gustare l’amore ineffabile che ho per voi, trovando e vedendo la mia natura divina unita con la vostra natura umana, ivi tu vedi che del Sangue che tu ministri e dispensi io ho fatto un bagno per lavare le vostre iniquità; e tu del tuo cuore hai fatto il tempio del demonio.
Il tuo affetto, che è significato dei piedi, non contiene né offre a me altro che puzza e vituperio; i piedi del tuo affetto non portano l’anima tua che nei luoghi del demonio. Sicché, con tutto il tuo corpo tu percuoti il Corpo del Figliuolo mio, facendo il contrario di quello che Egli ha fatto, e di quello che tu ed ogni altra creatura siete tenuti ed obbligati a fare. Gli strumenti del tuo corpo hanno ricevuto in male il suono, perché le tre potenze della tua anima sono raccolte nel nome del demonio, mentre dovresti raccogliere nel nome mio.
La tua memoria dovrebbe essere piena dei benefizi che hai ricevuto da me; mentre ella è piena di disonestà e di molti altri mali. L’occhio dell’intelletto dovresti porlo col lume della fede in Cristo crocifisso, Unigenito mio Figliuolo, di cui tu sei ministro; e tu gli hai posto dinanzi delizie, dignità e ricchezza di mondo, con misera vanità. L’affetto tuo dovrebbe amare solo me, senza intermediari; e tu l’hai posto miseramente nell’amare le creature ed il tuo corpo; anzi ami i tuoi animali più di me. E chi è che me lo mostra? L’impazienza che hai verso di me, quando io ti togliessi la cosa che molto ami, e il dispiacere che provi verso il prossimo, quando paresse di ricevere qualche danno temporale da lui. Odiandolo e bestemmiandolo, tu ti parti dalla carità mia e sua. O sventurato! Sei stato fatto ministro del fuoco della mia divina carità, e tu, per i tuoi disordinati diletti e per il piccolo danno che ricevi dal tuo prossimo, la perdi.
Capitolo 127
“. . . Non ha ricomprato con oro o argento, ma col sangue, per larghezza di amore, una metà del mondo, ma tutto il genere umano, passato, presente e futuro.
Non vi è amministrato Sangue, senza avervi insieme amministrato e dato il fuoco, perché vi ha dato il sangue per fuoco d’amore. Né vi ha dato il fuoco o il Sangue senza la mia natura divina, perché perfettamente unì in sé la natura divina con la natura umana; e di questo Sangue, unito alla Divinità per larghezza d’amore, io ho fatto ministro te misero. E tu, o misero, per la tua avarizia e cupidigia, ti sei ridotto in tanta strettezza verso quello che il mio Figliuolo ha acquistato sulla croce, cioè le anime ricomprate con tanto amore, e verso quello che Egli ti ha dato col farti ministro del Sangue, che ti metti a vendere la grazia dello Spirito Santo, volendo che i tuoi sudditi ricomprino da te quello che tu hai ricevuto in dono.
O miserabile, dove sono i figliuoli delle vere e dolci virtù, che dovresti avere? Dove è l’infuocata carità con la quale dovresti amministrare. Dove è il desiderio ansioso del mio onore e della salute delle anime? Dove è il profondo dolore che dovresti sentire nel vedere il lupo infernale portar via le tue pecorelle? Non vi è in te, perché nel tuo cuore stretto non c’è amore né di me, né di loro: tu ami solamente te stesso d’amore sensitivo, e con questo amore avveleni te e gli altri.
Tu sei quel demonio infernale che le inghiottisci con disordinato amore; altro non brama la tua gola, e perciò non ti curi che il demonio invisibile se le porti via; tu, vero demonio visibile, ti sei fatto strumento per mandarle all’inferno.
. . . i tuoi diletti devono essere i poveri e il visitare gli infermi, sovvenendo loro nei bisogni spirituali e temporali, poiché per altro non ti ho fatto ministro e data tanta dignità.
. . .Ma se il Vicario del mio Figlio s’avvede dei difetti dell’uno e dell’altro, li deve punire: tolga all’uno il suo ufficio se non si corregge e non emenda la sua mala vita; e a colui che compra, sarebbe bene che gli desse in cambio la prigione, cosicché egli sia corretto del suo difetto, gli altri ne prendano esempio e temano, e nessuno si metta più a farlo. Se Cristo in terra fa questo, fa il suo dovere; e se non lo fa, non resterà impunito questo peccato, quando gli converrà rendere ragione dinanzi a me delle sue pecorelle.
Credimi, figliuola mia, oggi non si fa più così; perciò è caduta la mia Chiesa in tanti difetti e abominazioni.
Non guardano ad altro che a grandezza di stato, a gentilezza, ricchezza, e che sappiano parlare molto elegante. E, peggio ancora, talvolta si allegherà in concistoro che egli ha bella persona. Odi cose di demoni! Mentre essi dovrebbero cercare l’adornamento e la bellezza delle virtù, guardano piuttosto alla bellezza del corpo! Devono cercare gli umili poverelli, che per umiltà fuggono le prelazioni, invece di prendere coloro che le cercano con vanità e gonfia superbia.
Mirano alla scienza. La scienza in sé è buona e perfetta, quando lo scienziato ha la scienza insieme con la buona e onesta vita e con vera umiltà. Ma se la scienza è nel superbo, in chi è disonesto e scellerato nella vita, essa è un veleno, e della Scrittura egli non intende che il senso letterale; lo intende in tenebre, perché ha perduto il lume della ragione ed ha offuscato l’occhio dell’intelletto.
Con questo lume, e con la luce soprannaturale, fu chiarita e intesa la santa Scrittura, come ti dissi più a lungo in altro luogo. Sicché tu vedi come la scienza sia buona in sé, ma non in colui che non l’usa come la dovrebbe usare; anzi gli sarà come un fuoco vendicatore, se non correggerà la sua vita. E perciò i superiori devono guardare più alla santa e buona vita, che allo scienziato il quale guidi male la sua vita. Purtroppo essi fanno il contrario; anzi reputano matti e spregiano i buoni e virtuosi, che siano grandi nella scienza; e schivano i poverelli, perché questi non hanno niente da donare loro.
Così tu vedi come abbondi la menzogna nella mia casa, che deve essere casa d’orazione, in cui ha da rilucere la margherita della giustizia, il lume della scienza con vita onesta e santa, e con l’odore della verità. I miei ministri devono possedere la povertà volontaria, conservare con vera sollecitudine le anime, e trarle dalle mani dei demoni; invece appetiscono le ricchezze. E si sono presa tanta cura delle cose temporali, che hanno abbandonato del tutto la cura delle spirituali, e non attendono altro che al gioco, al ridere, ad accrescere e moltiplicare le sostanze temporali.
. . . Questo è spiacevole a me e di danno alla santa Chiesa. Tali cose devono lasciare ai mondani; cosicché un morto seppellisca l’altro, cioè, coloro che sono posti a governare le cose temporali, le governino loro.
Perché ti dissi <<l’un morto seppellisca l’altro?>>. Ti rispondo che <<morto>> s’intende in due modi: l’uno è quando l’uomo amministra e governa le cose temporali con colpa di peccato mortale, per disordinato affetto e sollecitudine; l’altro modo significa per questo è un ufficio del corpo, trattandosi di cose manuali. Ora il corpo è cosa morta, non ha vita in sé, se non in quanto la riceve dall’anima, e ne partecipa finché l’anima sta in lui, non più.
Dunque questi miei unti, che devono vivere come angeli, hanno da lasciare le cose morte ai morti, ed essi governare le anime, che sono cosa viva e non muoiono mai quanto all’essere, governandole e amministrando loro i sacramenti, i doni e le grazie dello Spirito Santo, pascendole del cibo spirituale con buona e santa vita. A questo modo la mia casa sarebbe veramente casa d’orazione, abbondando delle loro grazie e virtù. E poiché essi non lo fanno, ma fanno il contrario, posso dire che essa è divenuta spelonca di ladroni, perché si sono fatti mercanti per avarizia, vendendo e comprando, come ho detto.
Capitolo 145
Provvidenza che Dio usa verso coloro che sono nella carità perfetta.
Qualche volta uso un piacevole inganno, per conservarli nella virtù dell’umiltà. Faccio loro addormentare il sentimento, cosicché parrà che nella volontà e nel sentimento non avvertano veruna cosa avversa, quasi come persone addormentate. Non dico persone morte, poiché il sentimento dorme nell’anima perfetta, ma non muore. Infatti, appena l’uomo allentasse l’esercizio e il fuoco del santo desiderio, quello si desterebbe più forte che mai. Nessuno se ne fidi, sia pure perfetto quanto si vuole: gli bisogna di stare nel santo timore di me; ché molti per fidarsi di sé stessi, cadono miserabilmente; altrimenti non cadrebbero. Dico dunque che in loro pare che dormano i sentimenti, e che sopportando grandi pesi, non sentano. A mano a mano però che andranno avanti, risentiranno talora se stessi in qualche piccola cosa, che sarà un niente (tanto che poi se ne faranno beffe), per siffatto modo, che ne resteranno stupefatti. Questo lo fa la mia provvidenza, perché l’anima cresca e cammini nella valle dell’umiltà. Allora ella prudentemente si leva sopra di sé, e non si perdona; ma con odio e rimprovero castiga il sentimento; e questo castigare è un farlo addormentare più fortemente.
Altre volte provvedo ai grandi miei servi col dar loro uno stimolo, come feci al dolce apostolo Paolo, vaso d’elezione. Aveva ricevuto la dottrina della mia Verità nell’abisso di me, Padre eterno; e nondimeno gli lasciai lo stimolo e l’impugnazione della sua carne(2 Cor 12, 7). Non potevo io fare che Paolo e gli altri, in cui lascio lo stimolo in diversi modi, non l’avessero? Sì. Perché mai lo fa la mia provvidenza? Per farli meritare, per conservarli nel conoscimento di sé, da cui traggono la vera umiltà, e per farli pietosi, non crudeli verso gli altri, cosicché siano compassionevoli verso le loro fatiche.
Infatti, sentendo essi la passione, hanno molta più compassione ai tribolati e ai passionati, che se non l’avessero. Crescono nell’amore e corrono a me, tutti unti di vera umiltà e arsi nella fornace della divina carità. Con questi mezzi e con infiniti altri giungono a perfetta unione, come ti dissi. Stanno in tanta unione e conoscimento della mia bontà che, pur essendo nel corpo mortale, gustano il bene immortale; stando nel carcere del corpo, par loro di essere fuori; e, perché mi hanno molto conosciuto, molto mi amano. Ora chi molto ama, molto si duole; perché, cui cresce amore, cresce dolore. . .
Una volta per sempre, anche in questo libro e tutto quello che si potesse scrivere o leggere in una vita intera (che non bastasse mai) si arriva dove dice il Padre celeste stesso nel:<<Quello che ti ho detto è meno che l’odore d’uno sprizzo d’acqua al paragone del mare>>. E gli uomini pensano di aver scoperto chi sa cosa, anche non conoscendo niente di tutti ciò? Nella nostra superbia che acceca.
Capitolo146
“Ti ho spiegato ed hai veduto, come io provvedo alle mie creature, in generale ed in particolare. Quello che ti ho detto è meno che l’odore d’uno sprizzo d’acqua al paragone del mare. Attraverso i vari stati, ti ho parlato prima del Sacramento, mostrandoti come io provveda a farne crescere la fame nell’anima, dando loro la grazia per mezzo del divino servitore, che è lo Spirito Santo. Come provveda all’iniquo, per ridurlo in stato di grazia; all’imperfetto, per farlo giungere a perfezione; al perfetto, per aumentare e crescerne la perfezione, poiché voi siete sempre atti a crescere; e poi, fare che i miei servi siano intermediari buoni e perfetti tra l’uomo che è caduto in guerra, e me. Già ti dissi, se ben ricordi, che per mezzo dei miei servi io farei misericordia al mondo, e che col molto soffrire di essi riformerei la mia Sposa.
Veramente questi si possono chiamare un altro Cristo crocifisso, Unigenito mio Figlio, perché hanno preso a fare il suo ufficio. Egli venne come mediatore, per levare la guerra e riconciliare in pace con me l’uomo, col molto soffrire, fino all’obbrobriosa morte della croce. Così costoro vanno avanti tormentati, facendosi mediatori con l’orazione, con la parola, con la buona e santa vita, ponendola come esempio dinanzi agli altri. Rilucono in essi le pietre preziose delle virtù insieme con la pazienza, portando e sopportando gli altrui difetti. ….
Capitolo 159
. . . il vero obbediente che vive in un Ordine religioso
Non si rattrista che dell’offesa, che vede fatta a me, suo Creatore; la sua conversazione è con quelli che mi temono in verità. E, se pure conversa con quelli che sono separati dalla mia volontà, non lo fa per conformarsi ai loro difetti, ma per sottrarli alla loro miseria. Con carità fraterna, vorrebbe porgere loro quel bene , che egli ha in sé, vedendo che al mio nome darebbe più lode e gloria l’avere molti osservanti della Regola dell’Ordine, oltre se stesso. Perciò s’ingegna di chiamare alla virtù religiosi e secolari, con la parola e con l’orazione; in qualunque modo possa, s’ingegna di trarli dalle tenebre del peccato mortale.
Sicché le conversazioni del vero obbediente sono buone e perfette, sia coi giusti come coi peccatori, a causa de suo affetto ben ordinato e della sua larghezza di carità . . .
Capitolo 162
Per quelli che vivono tiepidamente nella religione,
“. . . non sono perfetti, come devono essere, né cattivi; poiché conservano la loro coscienza senza peccato mortale, ma stanno in tiepidezza e freddezza di cuore . . . le sottile differenze di osservanza dell’Ordine, le cerimonie piuttosto che la Regola, e tendono a giudicare quelli che vivono nella Regola, ma con meno perfezione le cerimonie delle quali essi si fanno osservatori.
Come rimedio per uscire da questa tiepidezza:
Che modo ci sarà per farli uscire? Questo: prendano le legna del conoscimento di sé, con odio del proprio piacere e stima, e le mettano nel fuoco della mia carità, sposando di nuovo, come se allora entrassero nell’Ordine, la vera obbedienza, con l’anello della santissima fede, e non dormano più in questo stato, che è molto spiacevole a me e di danno loro. . . .”