La data della prima ingiustizia subìta
Esiste un primo giorno, spartiacque, una data ben precisa nella storia di ciascuno: la data in cui hai subìto la prima ingiustizia, il male che colpisce il bene; resterà scolpita, come avanti Cristo e dopo Cristo.
Da questa data inizia una lotta interna (con te stesso) ed esterna con tuoi nemici, ma c’è una terza, una lotta invisibile, una lotta tra il bene e il male, tra le tenebre e la luce, tra la verità e la menzogna, un vortice continuo collegato al tuo destino. Avrai un po’ di tregua per riprenderti, poi sarai sempre ad intervalli in mezzo a tante battaglie.
Non vanno denunciate, scoperte tutte le ingiustizie, a volte passano anni, decenni, a volte restano sepolte per sempre, poiché a volte per sola carità – perdonando, si risparmiano altre tragedie. Davanti a Dio c’è solo il presente, le ingiustizie TUTTE sono davanti a Lui, poiché ogni male fatto ai suoi piccoli, è fatto a Lui, come ogni bene. Il mondo ha “sfrattato Dio” dalla storia dei popoli, dei singoli cerca ma, c’è il libero arbitrio di ciascuno …
Appena inizierai a stare dalla parte della giustizia, legalità e verità, sarai urtato come un veicolo che guida in contromano. Non ci sono vie di mezzo, stati di neutralità tra la verità e la menzogna, non esistono mezze verità e mezze bugie, come non puoi avere una madre a metà. Sei oppure non sei il figlio di tua madre, tutto qui, lavori per il male oppure per il bene? Non c’è part-time da parte a parte.
Lotterai con te stesso per non cascarci nelle trappole del demonio, maestro della zizzania, del raggiro e della menzogna di ogni tipo. Ai cristiani non bisogna ricordare l’esistenza del demonio è superfluo.
Lotterai per non rispondere con la stessa moneta, al falso col falso, alla menzogna con menzogna e sarai tanto burlato che ti sentirai “caduto dalle nuvole” in una società da altri tempi. Non lascerai che la menzogna sia pronunciata dalla tua bocca – perché come il veleno entra nel sangue – sarai in pericolo di vita, l’antidoto è la verità.
Lotterai contro te stesso per non lasciar alloggiare nel tuo cuore, l’odio e la vendetta contro chi ti ha fatto del male, perché la tua causa è nelle mani del giusto giudice.
Non vanno in Tribunale volentieri i cristiani, non dopo averci provato tutte le variante di trattativa tra esseri umani, tra gente che usa il linguaggio, cioè, LA PAROLA DATA. Per certi casi, lasciano pure perdere, ma alcune gridano al cielo l’ingiustizia, come la mancata paga ai lavoratori e tutta la serie di raggiri collegati al campo del lavoro, non si scherza più.
Si lotta per non odiare, per non maledire chi paga il male per il bene ricevuto – poiché anche queste parole amare, Dio conosce che vengono dal cuore sanguinato.
Non oso pensare con che forza possono rialzarsi coloro calpestati che non credono in NULLA. Il cristiano prega, lascia la sua causa nelle mani di Dio, non tocca il fondo. Gli altri, coloro che non hanno una porta dove bussare, non hanno famiglia, non salute, non soldi – come potranno mai alzarsi senza aiuto di nessuno?
Se il cristiano lotta con se stesso, per poter perdonare, perdonare e dimenticare – per questioni di lavoro, non basta, deve riprendere il male con le sue mani, la burocrazia e lottare perché il male cessi per tutti. Come un tumore nelle ossa sono le ingiustizie sociali nel corpo dei lavoratori calpestati.
Esiste un primo giorno e sicuramente ci sarà anche l’ultimo, è l’ultimo giorno della nostra vita.
Mi sono sempre domandata, avendo già l’intuito che qualcuno lassù c’era, avevo ricevuto tante conferme, ma pensavo – veramente non c’è nulla di scritto al riguardo, una testimonianza più accreditata del semplice credente? Ho cercato e ho sempre trovato risposte a questo problema, giustamente – la nostra coscienza, il nostro libero arbitrio, la divina provvidenza … ho scelto tre testi – che trattano il cambiamento della mentalità dopo la venuta di Cristo, dopo la venuta di Cristo nel nostro cuore, nella storia dell’umanità. Il senso delle parole divine CAMBIA IL CUORE. Onestamente, giudicate da soli, decantate e scegliete: <<Tu da che parte stai?>>.
Dai lavori del cardinale Anastasio Ballestrero,
”Vivi nel Dio Vivo – Meditazioni ”
- C’è il rischio di farci un’idea di Chiesa nella quale Gesù non c’è più, perché la Chiesa siamo solo noi, sono le nostre iniziative, i nostri programmi, le nostre conquiste e le nostre battaglie, le cose che facciamo e le realtà che portiamo avanti.
<<Il regno di Dio è già in mezzo a voi>> (Lc 17,21): ha detto Gesù. Il regno di Dio, di cui la Chiesa è annuncio e sacramento, lo portiamo dentro, nel cuore, dove vive lo Spirito, dove Cristo parla al Padre, dove il Padre a sua volta si compiace <<e trova le sue delizie nell’essere con i figli dell’uomo>> (cfr. Pro 8,31).
Questa è la Chiesa. . . .
- i carismi delle fondazioni sono doni nuziali di Cristo alla sua Chiesa, perché la Chiesa sia feconda, porti frutti, anticipi in pienezza sempre maggiore la santità del Regno.
- È vero piuttosto che, nelle condizioni umane prevalenti di un determinato tempo, il Signore ha fatto un dono alla sua Chiesa, aiutandola ad essere presente nelle situazioni concrete della società umana.
Nell’esercizio dei carismi ecclesiali, ci troviamo di fronte a delle caratterizzazioni storico-culturali che tendono ad emarginare l’azione dello Spirito e a premiare l’azione dell’uomo. Lo prova la diffusa persuasione che per esercitare il nostro carisma basti perdere metà della vita a studiare, come se il carisma fosse frutto del nostro studio, della nostra cultura, del nostro saper fare.
- Abituati a guardare alla Chiesa come a un’istituzione umana, abituati a considerarla secondo i dati delle statistiche, rischiamo di lasciar diminuire la nostra fede nell’incarnazione. La Chiesa è più istituzione che mistero per troppi uomini, per tanti cristiani e – lo dico perché è vero – per tanti preti e tante anime consacrate. Così il discorso sulla Chiesa viene impoverito dai diagrammi delle nostre statistiche o illustrato trionfalisticamente con le nostre opere, mediante le quali ci sforziamo di gareggiare con Dio!
Quando professiamo la nostra fede non diciamo: <<Credo nella Chiesa>>, ma diciamo <<Credo la Chiesa>>, cioè credo il suo mistero, per il quale la Chiesa si sottrae a tutte le valutazioni umane: è impresa divina, rivelata agli uomini attraverso Cristo, è realtà superna, trascendente.
- Fare l’esperienza della differenza che c’è tra il dono di Dio e le nostre competenze o la nostra preparazione è una delle grazie più grandi che il Signore ci possa fare. La mobilità d’ufficio delle religiose e dei religiosi una volta non si discuteva: per un po’ si faceva il cuoco, poi si insegnava all’università; bastava che la Chiesa lo dicesse. Oggigiorno siamo diventati immobili, inamovibili, necessari: ma allora non sono mandato, sono uno che fa quel che vuole, sono io che programmo, che elaboro, che progetto.
La natura carismatica delle nostre vocazioni apostoliche credo che vada ribadita, perché venga distrutta ogni tentazione di autocompiacimento. Se penso alla mia vita, alle cose che il Signore mi ha mandato a fare, ai compiti che il Signore ha voluto affidarmi, non posso dirmi: Che bravo! Un bravo c’è, ma è il Signore; io, invece, ho sciupato il dono di Dio perché lui mi ha garantito di mettermi sulle labbra le parole degli uomini; lui mi ha mandato a risuscitare i morti e io non ho preso sul serio quel vangelo.
. . . non mi meraviglia la sordità del Signore alla nostra richiesta di vocazioni, perché non gliele chiediamo secondo il carisma della Chiesa, ma secondo le ubbie che abbiamo nella testa e i trionfalismi che coltiviamo sia personalmente sia comunitariamente. È un discorso che potrebbe continuare e diventare anche più esplosivo…
- ”Noi scriviamo libri di storia dove Dio non è mai nominato, mentre non leggiamo la Scrittura, dove non c’è una sola pagina in cui Dio non manifesti la sua presenza e il suo intervento”.
Nella nostra vita personale, nella nostra psicologia, nella nostra sensibilità di creature che si dicono credenti, come è percepita questa presenza del Creatore? Non è un interrogativo banale e peregrino, anzi è fondamentale, perché se non riesco a realizzarmi come creatura di Dio e non riesco a vedere nella mia storia un progetto che non è mio ma di colui che mi ha creato per la comunione con lui, che credente sono?
Che posto ha nella nostra vita questa consapevolezza? Che rilevanza ha, che influenza esercita, che luce e che grazia porta dentro di noi? Siamo troppo distratti e consumiamo l’orrendo sacrilegio di dimenticare che Dio è creatore. Quando l’uomo dimentica questo, perde il senso della vita. L’angoscia che oggigiorno caratterizza tanta cultura è il frutto di questa dimenticanza e di questa trascuratezza.”
S. Caterina da Siena
<<Dialogo della divina Provvidenza>> |
(25 marzo 1347 – † 29 aprile 1380).
Nel 1939 è stata proclamata Santa, con S. Francesco d’Assisi, Patrona d’Italia; nel 1970 il suo nome è stato inserito nell’albo dei Dottori della Chiesa Universale; il 18 ottobre 1999 Giovanni Paolo II la proclama compatrona d’Europa con Brigida di Svezia e Teresa Benedetta della Croce.
CAPITOLO 23
Come noi tutti siamo dei lavoratori, messi da Dio a lavorare nella vigna della santa Chiesa. Ciascuno ha la propria vigna in sé stesso; noi, che siamo tralci, dobbiamo essere uniti alla vera vite, che è il Figlio di Dio.
A questo punto la Verità eterna mostrava che ci aveva creato senza di noi, ma non ci salverà senza di noi. Essa vuole che noi, adoperiamo la nostra libera volontà, usando del tempo nell’esercizio delle vere virtù. Perciò andava dicendo via via:
A voi tutti conviene prendere per questo ponte, cercando la gloria e la lode del mio nome nella salvezza delle anime, sostenendo con pena molte fatiche, seguendo le vestigia di questo dolce ed amoroso Verbo; in altro modo non potrete venire a me.
Voi siete i miei lavoratori, che io ho messo a lavorare nella vigna della santa Chiesa. Voi lavorate nel corpo universale della religione cristiana, essendo messi da me a questo lavoro per grazia, poiché io vi ho dato il lume del santo battesimo, che voi riceveste nel corpo mistico della santa Chiesa per mano dei miei ministri, posti da me a lavorare con voi.
Voi siete nel corpo universale1 ed essi sono nel corpo mistico per pascere le anime vostre, somministrandovi nei Sacramenti il Sangue che ricevete dalla Chiesa, mentre essi traggono via le spine dei peccati mortali, e vi piantano la grazia. Essi sono i miei lavoratori nella vigna delle anime vostre, miei legati nella vigna della santa Chiesa.
Ogni creatura che è dotata di ragione, ha la vigna in se stessa, cioè la vigna dell’anima sua, della quale il lavoratore è la volontà, mediante il libero arbitrio, durante il tempo di questa vita. Passato questo tempo, non può più fare lavoro alcuno, né buono né cattivo; invece, finché vive, può lavorare la sua vigna, nella quale io l’ho messa. Ed ha ricevuto tanta fortezza questo lavoratore dell’anima, che né demonio né altra creatura gliela può togliere, se egli non vuole; poiché, ricevendo il santo Battesimo, si fortificò, e gli fu dato il coltello dell’amore alla virtù, e dell’odio al peccato. Questo amore e quest’odio li trova nel Sangue di Cristo, perché per amore di voi e odio del peccato l’Unigenito mio Figlio morì, Dandovi il Sangue; per questo Sangue aveste vita nel santo Battesimo.
E così avete il coltello, che dovete usare col libero arbitrio, finché ne avete il tempo, per svellere le spine dei peccati mortali e piantare le virtù. In nessun’altra maniera voi ricevereste il frutto del Sangue da essi lavoratori, che io ho messi nella santa Chiesa, i quali già ti dissi che tolgono il peccato mortale dalla vigna dell’anima, e vi danno la grazia, somministrandovi il Sangue nei Sacramenti, che sono disposti nella santa Chiesa.
Conviene dunque che prima vi leviate su con la contrizione del cuore, col dolore del peccato e coll’amore della virtù; allora riceverete il frutto del Sangue. Altrimenti non potreste riceverlo, se voi da parte vostra non siete disposti quali tralci uniti alla vite dell’Unigenito mio Figliuolo, il quale disse: <<Io sono la vite vera, il Padre mio è il lavoratore e voi siete i tralci>>( Cfr. Gv 14,6.
La verità è questa: io sono il lavoratore; ogni cosa, che ha l’essere, è uscita ed esce da me. La mia potenza è inestimabile, e con la mia potenza e virtù governo tutto il mondo; nessuna cosa è fatta o governata senza di me. Cosicché io sono il lavoratore, che piantai la vera vite, l’unigenito mio Figliuolo, nella terra della vostra umanità, acciocché voi, tralci uniti con la vite, faceste frutto.
Perciò chi non farà frutto di sante e buone opere, sarà tagliato da questa vite e si seccherà. Infatti, se è separato dalla vite, perde la vita della grazia, ed è messo nel fuoco eterno, come il tralcio che non fa frutto viene tagliato subito dalla vite, e gettato nel fuoco, non essendo buono ad altro.
Lo stesso succede a questi tali; tagliati da me per le loro offese, e morendo nella colpa del peccato mortale, la mia divina giustizia li mette nel fuoco che dura eternamente, poiché non sono buoni ad altro. Essi non hanno lavorato la loro vigna; hanno disfatta la loro e l’altrui. Non solo non vi hanno messo alcuna buona pianta di virtù, ma ne hanno pure tolto il seme della grazia, che avevano ricevuto alla luce del santo Battesimo, partecipando del Sangue del mio Figliuolo, che fu come un vino a voi porto da questa vera vite. Essi hanno tratto via questo seme, e l’hanno dato a mangiare agli animali, cioè a diversi e molti peccati, e l’hanno messo sotto i piedi dell’affetto disordinato, col quale hanno offeso me, facendo danno a se stessi e al prossimo.
Ma i miei servi non fanno così, e così dovete fare anche voi: cioè essere uniti e innestati in questa vite; allora riporterete molto frutto, perché parteciperete dell’umore della vite. Stando nel Verbo mio Figliuolo, voi state in me, poiché io sono una cosa sola con lui, ed egli con me; stando in lui, seguirete la sua dottrina; seguendo la sua dottrina, partecipate della sostanza di questo Verbo, cioè partecipate della Deità eterna, unita all’umanità, traendone voi un amore divino, in cui l’anima s’inebria. Per questo ti dissi che partecipate della sostanza della vite.
1 Si è già trovato che Caterina intende per corpo universale la società dei fedeli, mentre riserva la parola corpo mistico a indicare la sacra gerarchia.
CAPITOLO 24
In quale modo Dio pota i tralci uniti con la suddetta vite, cioè, i suoi servi, e come la vigna di ciascuno è tanto unita con quella del prossimo, che nessuno può lavorare o guastare la sua, senza lavorare o guastare quella del prossimo.
Sai che modo io tengo, appena i miei servi si uniscono nel seguire la dottrina del dolce ed amoroso Verbo? Io li poto, affinché facciano molto frutto, ed il loro frutto sia provato e non inselvatichisca. Lo stesso si fa del tralcio, che sta nella vite; il lavoratore lo pota, perché faccia maggior vino e in maggior coppia; ma taglia e mette al fuoco quello che non fa frutto. Così fo io, vero lavoratore: poto con molte tribolazioni i miei servi che stanno uniti a me, affinché facciano frutto più copioso e migliore, e sia provata la loro virtù; quelli invece che non fanno frutto, sono tagliati e messi nel fuoco (Cfr. Gv 15, 2, 6), come ti ho detto.
Quei tali sono dei veri operai che lavorano la loro anima, traendone fuori tutto l’amor proprio, rivoltando la terra del loro affetto per me. Così nutrono e accrescono il seme della grazia, avuto nel santo Battesimo. Lavorando la loro, lavorano anche l’anima del prossimo, non potendo lavorare l’una senza l’altra; poiché più volte ti ho detto che tanto il male come il bene si fanno col mezzo del prossimo. Voi dunque siete i miei lavoratori, usciti da me, sommo ed eterno lavoratore, che vi ho uniti e innestati nella vite, per l’unione che io ho fatta con voi nell’Incarnazione.
Tieni a mente che tutte le creature che hanno in sé ragione, hanno una vigna propria, la quale è unita senza tramezzo alcuno con quella del loro prossimo. Ed è sì grande questa unione, che nessuno può fare bene o male a sé, che non lo faccia pure al prossimo. Voi, tutti quanti, fate come una grande vigna, formata di tutti i popoli cristiani, poiché siete uniti nella vigna del corpo mistico della santa Chiesa, da cui traete la vita. In questa vigna è piantata la vite del mio Unigenito Figliuolo, in cui dovete essere innestati. Se non siete innestati in lui, divenite subito ribelli alla santa Chiesa, e siete come membri tagliati dal corpo, che subito imputridiscono.
È vero però che finché avete il tempo di questa vita, potete levarvi la puzza del peccato col vero dolore e col ricorre ai miei ministri; essi sono lavoratori che tengono le chiavi del vino, cioè del Sangue uscito da questa vite. Questo Sangue è così fatto, ed è di tanta perfezione, che non può essere privato del suo frutto, per nessun difetto del ministro.
Il legame della carità è quello che unisce i miei ministri, insieme a vera umiltà, acquistata nel vero conoscimento di se stessi e di me. Sicché vedi come io vi ho messi tutti a lavorare. Ed ora di nuovo v’invito, perché il mondo viene già meno, e le spine si sono tanto moltiplicate, che hanno affogato il seme, e non lasciano fare più nessun frutto di grazia.
Voglio dunque che siate veri lavoratori, e che con molta sollecitudine aiutiate a lavorare le anime, nel corpo mistico della santa Chiesa. A questo vi eleggo, perché io voglio fare misericordia al mondo, per il quale tu tanto mi preghi.
CAPITOLO 45
In questa vita gustano i giusti la caparra della vita eterna, gustando quel medesimo bene, dal quale ti ho detto che sono saziati. Come hanno questa caparra in vita? Nel riscontrare la mia bontà, in se stessi, e nel conoscere la mia verità.
L’intelletto, che è l’occhio dell’anima, ha una tale cognizione quando è illuminato da me. Quest’occhio ha la pupilla della santissima fede, illuminata da una luce, che fa discernere, conoscere e seguire la via e la dottrina della mia Verità, il Verbo incarnato. Senza questa pupilla della fede non vedrebbe che alla maniera di un uomo, che pur avendo l’organo dell’occhio, avesse la pupilla ricoperta di un panno. Pupilla dell’occhio dell’intelletto è la fede; se le viene posto dinanzi il panno della infedeltà, cavato dall’amor proprio, non vede; ha l’organo dell’occhio, ma non il lume, perché esso se l’è tolto.
Comprendi adunque come essi, nel vedere, conoscono; conoscendo, amano; e amando, annegano e perdono la loro volontà. Perduta questa, si vestono della mia, che non vuole altro che la vostra santificazione.
Capitolo 85
<<I testimoni>>
“ Con questo lume, che è posto nell’occhio dell’intelletto, mi vide Tommaso, e ne acquistò luce di grande scienza, Agostino, Gerolamo e gli altri miei santi dottori, illuminati dalla mia Verità, riuscivano a intendere e a conoscere nelle tenebre la mia verità: infatti la Santa Scrittura pareva oscura perché non era capita ma non per difetto della Scrittura, bensì del soggetto che intende solo imperfettamente – onde Io mandai queste lucerne ad illuminare le menti accecate e più grossolane; perciò essi levavano l’occhio dell’intelletto per scrutare la verità nelle tenebre, come ho detto; ed Io, che sono fuoco, accettandone il sacrificio, li traevo a me dando loro il lume, non naturale ma soprannaturale, illuminati dal quale essi, pur vivendo in mezzo alle tenebre del mondo, conoscevano la verità.
Il lume soprannaturale che si rispecchia nel vecchio e nel nuovo Testamento – nel vecchio: voglio dire nelle profezie dei santi profeti – fu visto e conosciuto dall’occhio dell’intelletto grazie al lume infuso per grazia da me sopra il lume della ragione, come già ti ho detto. E come credi che sia comunicata la nuova legge della vita evangelica ai fedeli di Cristo nel nuovo Testamento? Sempre grazie allo stesso lume soprannaturale. E proprio perché la nuova legge procedeva dalla stessa fonte di luce, essa non spezzò la legge antica ma le si unì, integrandola; in questo modo le tolse l’imperfezione dovuta al fatto che quella si basava soltanto sul timore di Dio.
Il Verbo del Figlio mio unigenito, venuto con la sua legge d’amore, portò a compimento e a perfezione la legge antica proprio donandole l’amore, togliendo il timore concepito soltanto come paura della pena e conservandolo come santo timor di Dio. Perciò la mia Verità, per insegnare ai discepoli che non era venuta per distruggere la legge, disse: “Io non sono venuto a distruggere la legge, ma a compierla”(Matteo 5,17). E fu come se dicesse: sino ad ora la legge è imperfetta, donandole quel che le manca, ossia liberandola dal timore della pena e fondandola nell’amore e nel santo timor di Dio.
Chi mostrò che questa è la verità? Il lume soprannaturale, il quale fu donato per grazia e viene dato a chi lo vuole ricevere a perfezionamento del lume naturale, come è detto. Ogni luce che viene dalla santa Scrittura è uscita ed esce da questo lume soprannaturale. Perciò coloro che sono gonfi di superbia per la loro scienza s’accecano in questo lume, proprio perché la superbia e la nube dell’amor proprio offusca questa luce sino a toglierla; perciò costoro intendono solo il significato letterale della Scrittura e non riescono veramente a penetrarla; così essi gustano la Scrittura letteralmente, affaticandosi su molti libri, ma non possono apprezzare il midollo, dal momento che si sono privati del lume grazie al quale la Scrittura è formata e comunicata.
Così avviene che costoro, superbi uomini di scienza, si stupiscono e finiscono col cadere nella mormorazione, quando vedono molte persone di mente non eccelsa, ed anzi ignoranti tanto da non poter leggere la Scrittura, e tuttavia tanto illuminate nella conoscenza della Verità come se per lungo tempo l’avessero studiata. Invece proprio questo fatto non deve far stupire, perché questi umili posseggono la sorgente prima del lume da cui proviene la conoscenza della verità. Sono i superbi, piuttosto, ad aver perduto il lume soprannaturale, così che più non vedono né riconoscono la mia bontà e neppure il lume di grazia infuso nella mente dei miei servi.
Perciò ti dico che, per avere un consiglio sulla salvezza dell’anima, è molto meglio rivolgersi ad un ignorante che sia umile e dotato di coscienza santa e retta, piuttosto che ad un superbo letterato immerso nel suo mucchio di scienza; costui infatti potrà dare soltanto quel che ha in sé e spesso, a causa della sua vita di tenebre, volgerà in tenebra l’illuminata verità della santa Scrittura. Proprio l’opposto si troverà nei miei servi i quali, invece, alla creatura affamata e desiderosa di salvezza potranno donare il lume che hanno in sé.”
Importante
nota 74: Il contrasto fra l’incolto, umile e illuminato, e il superbo uomo di scienza non deve far pensare ad un disprezzo di Caterina per la scienza in quanto tale; poco prima infatti sono state esplicitamente lodate le opere dei santi dottori anche al fine della interpretazione della Scrittura. Il significato del contrasto non sta nemmeno tanto nella contrapposizione fra superbia e umiltà, poiché la superbia è piuttosto conseguenza che causa, in questo caso. La ragione del diverso comportamento sottolineato tanto decisamente da Caterina risiede in ciò: che gli uni si tolgono da sé, in quanto lo respingono, lo strumento luminoso della fede, che potenzia anziché diminuire l’intelletto naturale. Per questo credono di poter spiegare col solo lume naturale la verità rivelata; ma il loro occhio, reso offuscato dall’amor proprio, finisce col restare alla superficie della verità rivelata; legge “alla lettera” e non “secondo lo spirito”. L’uomo colto e di grande sapere tanto più invece potenzierà le sue doti e i suoi strumenti di naturale raziocinio se non rifiuterà di vedere con l’aiuto della luce della fede. Alla luce della fede molte cose che pur si sanno, si capiscono più profondamente”.
nota 75: ”La volontà che si affida a quella di Dio si nega come volontà sensibile, radice di ogni voluntas sui, e si potenzia come capacità di volere quel che l’intelletto non accecato dalla voluntas sui gli lascia vedere. È in gioco il problema della libertà: l’uomo, finché usa del potere di scelta fra il bene e il male, tra il vero e falso, può sbagliare affidandosi a criteri soggettivi. In tal caso la sua volontà segue ciò che vede il suo occhio accecato; cammina nelle tenebre. Ma quando la volontà umana si annulla affidandosi a quella di Dio, il suo libero arbitrio si potenzia in libertà dal male, e la sua volontà si fa tutta volontà di bene”.
Capitolo 107
Come Dio appaga i santi desideri dei suoi servi, e come molto gli piace chi domanda e bussa alla porta della sua verità con perseveranza.
Ora, o carissima figliola, ti ho in tutto rischiarato e illuminato l’occhio dell’intelletto sugli inganni che il demonio ti potrebbe fare; e ho soddisfatto al tuo desiderio in quello che mi domandasti; perché io non sono sprezzatore del desiderio dei servi miei; anzi do a chi domanda. Io stesso vi invito a domandare, e molto mi dispiace colui che in verità non bussa alla porta della sapienza dell’Unigenito mio Figlio, seguendo la sua dottrina. Il seguire questa dottrina è come bussare a me, Padre eterno, chiamandomi con la voce del santo desiderio, con umili e continue orazioni.
Io sono quel Padre, che vi do il pane della grazia col mezzo di questa porta, che è la dolce mia Verità. Qualche volta, per provare i vostri desideri e la vostra perseveranza, fo vista di non intendervi; ma vi intendo, e vi do nel frattempo quello che bisogna, perché vi do la fame e la voce, con la quale mi chiamate; e, Io, vedendo la vostra costanza, adempio i vostri desideri, se sono bene ordinati e indirizzati a me.
A questo chiamare v’invitò la mia Verità quando disse: <<Chiamate e vi sarà risposto; bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato>>.(Mt 7,7; Lc 11,9).
Così io voglio che tu faccia: non rallentare mai il desiderio di chiedere il mio aiuto; non abbassare mai la voce nel chiedermi che io faccia misericordia al mondo; non restare dal bussare alla porta della mia Verità, seguendo le sue vestigia; dilettati in croce con lui, mangiando il cibo delle anime per gloria e lode del mio nome. E poi, con ansietà di cuore, muggirai sopra quel morto che è il genere umano, che tu vedi condotto a tanta miseria, che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo. con questo grido che io voglio fare misericordia al mondo. Ciò è quanto richiedo dai miei servi, e questo mi sarà di segno che in verità mi amano. Né io sarò dispregiatore dei loro desideri, come ti ho detto.
IL CORPO MISTICO DELLA SANTA CHIESA
Capitolo 108
“Io ero morta, e tu m’hai risuscitata; io ero inferma, e tu m’hai data la medicina; e non solo la medicina del Sangue, che tu desti a quell’infermo che è il genere umano, per mezzo del tuo Figlio, ma mi hai dato una medicina contro un’infermità occulta, che io non conoscevo. Mi hai insegnato di non dovere in nessun modo giudicare creatura alcuna, che sia dotata di ragione, e particolarmente i tuoi servi, sui quali spesse volte io, come cieca e inferma di questa infermità, davo giudizi, sotto specie e colore del tuo onore e della salute delle anime.
Perciò ti ringrazio, o somma ed eterna bontà, che nel manifestarmi la tua verità, l’inganno del demonio e la nostra passione, mi hai fatto conoscere la mia infermità . . .
- Padre eterno, mi ricordo di una parola che dicesti quando mi narravi alcune cose intorno ai ministri della santa Chiesa; mi promettesti che me ne avresti parlato più distintamente in altro luogo, voglio dire dei mali, che al dì d’oggi essi commettono. Dunque, se piace alla tua bontà di dirmene qualcosa, affinché io abbia materia di accrescere il dolore, la compassione e il desiderio ansioso della loro salute, io te lo domando; poiché, a quanto ricordo, tu già mi dicesti che con le lacrime, con i dolori, sudori e orazioni dei tuoi servi ci avresti dato refrigerio, riformando la Chiesa con santi e buoni pastori.”
Capitolo 109
“Allora Dio eterno, volgeva a lei l’occhio della sua misericordia; e non disprezzando il suo desiderio, ma accettando le sue domande, volendo anzi soddisfare all’ultima domanda che ella gli aveva fatto intorno a quella promessa, diceva:
O dilettissima e carissima figliuola, io adempirò il tuo desiderio in quello che mi hai domandato, purché per parte tua non commetta ignoranza o negligenza, altrimenti la tua colpa sarebbe più grave e degna di maggiore riprensione ora che prima, avendo avuto una maggiore conoscenza della mia Verità. Sii dunque sollecita a fare orazioni per tutte le creature ragionevoli, per il corpo mistico della santa Chiesa, e per quelli che io ti ho dati, e che tu ami di particolare amore. E non commettere negligenza nel fare le orazioni, o nel dare l’esempio della vita e la dottrina della parola, riprendendo il vizio e raccomandando la virtù, secondo il tuo potere.
Quanto alle colonne (si tratta con ogni probabilità, di Fra Tommaso della Fonte e del B. Raimondo da Capua) che ho dato a te, delle quali tu mi parlasti, fa’ di essere tu un mezzo per dare a ciascuno quello che gli bisogna, secondo la propria attitudine, e come ti somministrerò io, tuo Creatore, poiché senza di me non potresti fare cosa alcuna; io poi appagherò i tuoi desideri. Ma non mancare, né tu né loro, di sperare in me, perché la mia provvidenza non mancherà in voi, cosicché ognuno riceva umilmente quello che è atto a ricevere, e ognuno somministri quello che io gli darò da somministrare, ciascuno a suo modo, secondo che ha ricevuto o riceverà dalla mia bontà.
Capitolo 110
Della dignità dei sacerdoti; del sacramento del Corpo di Cristo; e di quelli che si comunicano degnamente o indegnamente.
Ora ti rispondo a quanto mi domandasti sopra i ministri della santa Chiesa. E affinché tu possa conoscere meglio la verità, apri l’occhio dell’intelletto e guarda la loro eccellenza ed in quanta dignità io li ho posti. E siccome si conosce meglio un contrario coll’altro contrario, ti voglio mostrare la dignità di coloro, che esercitano con virtù il tesoro, che io ho messo loro tra le mani: da questo vedrai meglio la miseria di quelli che oggi si pascono al petto di questa Sposa.
Allora quell’anima, per obbedire, si fissava con la mente nella verità, dove vedeva rilucere le virtù dei veri gustatori della Divinità.
E l’ eterno Dio le diceva: – Carissima figliuola, ti voglio mostrare prima la dignità, nella quale gli ho posti per mia bontà. Questa dignità va oltre l’amore generale che io ho avuto per le mie creature, creandovi a mia immagine e somiglianza, e ricreandovi tutti alla grazia, nel sangue dell’unigenito mio Figliuolo. Così veniste a tanta eccellenza, per l’unione che io feci tra la mia Deità e la natura umana, che voi avete maggiore eccellenza e dignità degli angeli, poiché io presi la vostra natura, non quella dell’angelo. Perciò, come ti ho già detto, io Dio son fatto uomo, e l’uomo è fatto Dio, appunto per l’unione della mia natura divina con la vostra natura umana.
Questa grandezza (di avervi dato l’essere e la grazia) è data in generale ad ogni creatura ragionevole; ma tra tutti ho eletto i miei ministri per la vostra salute, acciocché per loro vi sia somministrato il sangue dell’umile e immacolato Agnello, Unigenito mio Figliuolo. A costoro ho dato da ministrare il Sole, dando loro il lume della scienza, il caldo della divina carità, ed il colore unito col caldo e col lume, che è il Sangue ed il Corpo del mio Figliuolo. Questo Corpo è un sole, perché è una cosa con me, vero sole. Ed è tanto unito, che l’uno non si può separare dall’altro né tagliare, come nel sole non si può dividere il calore dalla luce, né la luce dal suo calore, per la perfezione della loro unione.
Questo sole non si parte dalla sua sfera, non si divide da essa, dà lume a tutto quanto il mondo e scalda chiunque vuole essere scaldato; non si lorda per qualsiasi immondezza, ed il suo lume gli è sempre unito, come ti ho detto.
Così questo Verbo, mio Figliuolo, col suo sangue dolcissimo è un sole; è tutto Dio e tutto uomo, perché è una sola cosa con me, e io con lui. La mia potenza non è separata dalla sua sapienza, né il calore e fuoco dello Spirito Santo sono separati da me, Padre, o da lui, Figliuolo , essendo egli una medesima cosa con Noi, poiché lo Spirito Santo procede da me Padre e dal Figliuolo, e siamo un medesimo Sole.
Io sono quel Sole, Dio eterno, da cui è proceduto il Figliuolo e lo Spirito Santo. Allo Spirito Santo è appropriato il fuoco; al Figliuolo la sapienza; in questa sapienza i miei ministri ricevono un lume di grazia, perché somministrano questo lume con lume e con gratitudine del benefizio ricevuto da me, Padre eterno, seguendo la dottrina di questa sapienza, che è l’Unigenito mio Figliuolo.
Questo è quel lume, che ha in sé il colore della vostra umanità, essendo uniti insieme l’uno con l’altro. Il lume della mia Deità fu unito col colore della vostra umanità. Questo colore diventò lucido, quando restò impassibile in Cristo per virtù della Deità, che è la natura divina. Voi avete ricevuto il lume per questo mezzo, che è il Verbo incarnato, intriso e impastato col lume della mia Deità, che è la natura divina, e col caldo e fuoco della Spirito Santo. A chi l’ho dato a ministrare? Ai miei ministri, nel corpo mistico della santa Chiesa, affinché abbiate vita, dandovi il suo Corpo in cibo ed il suo Sangue in bevanda.
Ti ho detto che questo Corpo è un sole. Perciò non vi può essere dato il Corpo senza che vi sia dato il Sangue, né il Sangue senza l’anima di questo Verbo incarnato, né l’anima e il Corpo senza la Deità di me, Dio eterno, perché l’una non si può separare dall’altra, come già ti dissi in altro luogo; ché la natura divina non si parti mai dalla natura umana, non potendosi separare né per morte né per verun’altra causa. Sicché voi ricevete tutta l’essenza divina in quel dolcissimo sacramento, sotto la bianchezza del pane.
E come il sole non si può dividere, così tutto Dio e uomo non si può dividere in questa bianchezza dell’ostia. Poniamo che si divida l’ostia: anche se fosse possibile di farne migliaia di minuzzoli, in ciascuno è Cristo tutto Dio e tutto uomo. Come si divide lo specchio, ma non si divide l’immagine che vi si vede, così, dividendo questa ostia, non si divide né Dio né l’uomo, ma in ciascuna parte vi è tutto. E non diminuisce in se medesimo, come succede del fuoco, secondo l’esempio seguente.
Se tu avessi un lume, e da tutto il mondo si venisse ad accendere da questo, esso non verrebbe a diminuire per quell’accensione, e nondimeno ciascuno l’avrebbe tutto. E’ vero che c’è chi partecipa più e chi meno di questo lume, poiché ciascuno riceve tanto fuoco quanto è la materia che porta. E affinché tu intenda meglio, ti propongo un altro esempio.
Se fossero molti a portare candele, e uno avesse materia di un’oncia, l’altro di due o di sei, chi di una libbra e chi di più, e andassero tutti al lume per accendere le loro candele, è vero che in ciascuna candela accesa, o grande o piccola che sia, si vede tutto il lume, cioè il calore, il colore e la luce stessa; nondimeno tu giudicheresti che ne abbia meno colui il quale la porta di un’oncia, che quello il quale la porta di una libbra.
Madonna della corona – Santuario mariano, la Via Crucis
Avviene così a chi riceve questo sacramento. L’uomo porta la sua candela, che è il santo desiderio, col quale si riceve e si prende questo sacramento; ma tale candela in sé è spenta, e si accende nel ricevere questo sacramento. <<Spenta>>, io dico, perché da voi non siete niente. E’ vero che io vi ho dato la materia, con la quale possiate nutrire in voi questo lume e riceverlo. Questa materia è l’amore, perché io vi creai per amore, e però non potete vivere senza amore.
L’essere, dato a voi per amore, riceve la disposizione buona nel santo battesimo, che ricevete in virtù del sangue del Verbo; poiché in altro modo non potreste partecipare di questo lume, ma sareste come candela senza il lucignolo, che non può ardere né ricevere in sé il lume. Così siete voi, se nell’anima vostra non avete ricevuto il lucignolo che si accende a questo lume, cioè la santissima fede, insieme con la grazia che ricevete nel santo battesimo con l’affetto dell’anima vostra, creata da me, e atta ad amare; poiché essa è talmente atta ad amare, che non può vivere senza amore; anzi il suo cibo è l’amore.
Dove si accende l’anima che ha una tale unione? Al fuoco della mia divina carità, amando e temendo me, e seguendo la dottrina della mia Verità. E’ vero però che si accende più o meno, secondo che porterà e darà materia a questo fuoco. Infatti, benché tutti abbiate una medesima materia, poiché tutti siete creati a mia immagine e somiglianza, e come cristiani avete il lume del santo battesimo, nondimeno ognuno può crescere in amore e virtù, secondo che a voi piace, mediante la mia grazia. Non è che voi mutiate la vita soprannaturale che io vi ho data, ma potete crescere ed aumentare nell’amore delle virtù, usando il libero arbitrio, con virtù e con affetto di carità finché ne avete tempo; poiché, passato il tempo, voi non lo potreste fare. Così potete crescere in amore.
Con questo amore venite a ricevere il Sacramento, dolce e glorioso lume, che io vi ho dato per esservi distribuito dai miei ministri, come vostro cibo; e tanto ricevete di questo lume, quanto porterete di amore e di affocato desiderio, posto anche che lo riceviate tutto, come ti spiegai con l’esempio di quelli che portano le candele, e che ricevono il lume secondo la quantità del peso. In ciascuno si vede Cristo tutto intero, e non diviso; perché non si può dividere, come ti ho già detto, per veruna imperfezione di voi che lo ricevete, o di chi lo somministra; ma tanto partecipate in voi di questo lume, cioè della grazia che ricevete in questo sacramento, quanto è il desiderio santo, col quale vi disponete a riceverlo. E chi andasse a questo dolce sacramento con colpa di peccato mortale, non ne riceve grazia, anche se riceve attualmente tutto Dio e uomo, come t’ho detto.
Ma sai come sta l’anima che lo riceve indegnamente? Sta come la candela in cui sia caduta l’acqua, che non fa altro che stridere quando è accostata al fuoco; ed appena che il fuoco è entrato in quella si spegne, e non vi rimane altro che il fumo.
Così quest’anima porta se stessa, come quella candela che ricevette nel santo battesimo; vi gettò poi l’acqua della colpa, che innacquò il lucignolo del lume della grazia ricevuta nel santo battesimo. Non essendosi scaldata al fuoco della santa contrizione col confessare la colpa, andò alla mensa dell’altare a ricevere questo lume. Ma non essendo l’anima disposta come si deve a tanto mistero, il vero lume non vi rimane con la grazia, ma si parte, e l’anima rimane in maggiore confusione, spenta dalle tenebre ed aggravata dalla sua colpa. Di questo sacramento non sente altro che lo stridore del rimorso di coscienza, non per difetto del lume, che non può ricevere alcuna lesione, ma per colpa dell’acqua che era nell’anima; quest’acqua impedì l’affetto dell’anima, che non poté ricevere questo lume.
Così vedi come questo lume, che ha uniti in sé tra loro caldo e colore, non si possa in nessun modo dividere, né per piccolo desiderio che porti l’anima a ricevere questo sacramento, né per difetto che fosse nell’anima di chi lo riceve, o di colui che lo amministra, come pure ti dissi del sole, che stando su cosa immonda, tuttavia non si lorda.
Così questo dolce lume nel Sacramento non si lorda per nessuna cosa, né si divide, né diminuisce la sua luce, né si stacca dalla sua sfera, posto anche che tutto il mondo si comunichi del lume e del caldo di questo sole. Il Verbo, Sole, Unigenito mio Figlio, non si stacca da me Sole, Padre eterno, benché nel corpo mistico della santa Chiesa sia dispensato a chiunque lo vuole ricevere; ma tutto rimane; e voi l’avete tutto quanto, Dio e uomo, come ti diedi l’esempio del lume. Ché se tutto il mondo volesse parteciparne, tutti l’avrebbero, e tuttavia rimarrebbe tutto intero in se stesso.
Capitolo 119
Eccellenza, virtù e opere sante dei ministri virtuosi e santi; come essi si rassomiglino al sole. La loro correzione verso i sudditi.
…
Ora io voglio che tu sappia che per nessun’altra causa è venuta tanta tenebra e divisione nel mondo tra secolari e religiosi, tra chierici e pastori della santa Chiesa, se non perché il lume della giustizia è mancato ed è venuta la tenebra della ingiustizia.
Nessuno Stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in grazia senza la santa giustizia; perché colui che non è corretto e non corregge fa come il membro che è cominciato a imputridire: se il cattivo medico vi pone subito l’unguento solo, e non brucia la piaga, tutto il corpo imputridisce e si corrompe. Così il prelato, e gli altri signori che hanno sudditi, vedendo il membro del loro suddito essere imputridito per la puzza del peccato mortale, se vi pongono solo l’unguento della lusinga senza la riprensione, non guariscono mai, ma guasteranno le altre membra, che gli sono dintorno, e sono legate in uno stesso corpo ad uno stesso pastore. Ma se il prelato sarà vero e buon medico di quelle anime, come erano questi gloriosi pastori, non darà l’unguento senza il fuoco della riprensione. E se il membro fosse pure ostinato nel suo mal fare, lo toglierà dalla comunità, acciò che non infetti gli altri con la puzza del peccato mortale.
Ma essi non fanno oggi così; anzi fanno vista di non vedere. E sai tu perché? Perché in loro vive la radice dell’amor proprio, da cui traggono il perverso timore servile. Per timore di perdere lo Stato, le cose temporali o la prelazione, non correggono, ma fanno come accecati, e per questo non conoscono in che modo si conservi lo Stato; ché se vedessero come si conserva con la santa giustizia, la manterrebbero. Ma poiché sono privi del vero lume, non lo conoscono; credendolo conservare con la ingiustizia, non riprendono i difetti dei loro sudditi, ma sono ingannati dalla loro passione sensitiva e dall’appetito della signoria o della prelazione.
Inoltre non correggono, perché essi sono in quei medesimi difetti, o anche maggiori. Si sentono presi nella colpa, e perciò perdono l’ardire e la sicurezza; legati dal timore servile, fanno vista di non vedere. E se pure vedono, non correggono; anzi si lasciano legare con le parole lusinghevoli, e con molti doni, ed essi stessi trovano le scuse per non punirli. In costoro si compie la parola che disse la mia Verità: <<Costoro sono ciechi e guide di ciechi; se un cieco guida l’altro, ambedue cadono nella fossa>>(Mt 15,14; Lc 6,39).
Non hanno fatto né fanno così quelli che sono stati o sono miei dolci ministri, i quali, come ti dissi, hanno la proprietà e condizione del sole.
Sono essi un vero sole, poiché in loro non vi è tenebra di peccato né ignoranza, perché seguono la dottrina della mia Verità; né sono tiepidi, poiché ardono nella fornace della mia carità; sono spregiatori delle grandezze, stati e delizie del mondo, e perciò non temono di correggere. Chi non appetisce la signoria o la prelazione, non teme di perderla, ma riprende virilmente; e chi non si sente la coscienza ripresa dalla colpa, non teme.
Nel <<Dialogo della divina Provvidenza>> di Santa Caterina da Siena, capitolo
<<Come Dio provvede a chi sa sperare>>
“… Tu vedi che all’anima, per la sua vita, Io ho dato i sacramenti della santa Chiesa, perché sono il suo cibo: non quel pane che è grossolano bene temporale e deve essere dato al corpo, poiché l’anima è incorporea, e vive della mia parola. Perciò la mia Verità disse, nel santo Vangelo, che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che procede da me (Matteo 4,4; e Luca 4,4), e che voi dovevate seguire con intenzione spirituale la dottrina di questa mia Parola incarnata. La quale parola, in virtù del sangue e dei suoi santi sacramenti, vi dona la vita.
Perciò all’anima sono dati i sacramenti spirituali. Sebbene i sacramenti siano disposti e dati mediante lo strumento del corpo, l’atto corporale da solo non da vita di grazia se l’anima non lo ricevesse con disposizione spirituale, con vero e santo desiderio; e questo desiderio alberga nell’anima, non nel corpo. Perciò ti ho detto essi erano spirituali, e che si davano all’anima perché è ente incorporeo, quantunque offerti per mezzo del corpo: come ho detto, è il sentimento dell’anima che deve assumerli e riceverli”.
Vita di Cristo
Pietro Chiminelli
Pag.432:
Capitolo Nono
– Le riforme operate da Gesù –
“. . .<< E Gesù di rimando:
Rendete dunque a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio>>.
Per ben capire il prezioso valore e la vitale importanza di questa grande massima chiarificatrice dettata dal divino Maestro, bisogna non perdere di vista che, nell’antica civiltà – che oggi qualche nazione malauguratamente accenna a voler nuovamente instaurare era in auge il principio autoritario dettato da Licurgo per la Grecia e dagli imperatori per Roma, secondo il quale un cittadino apparteneva di diritto – non solo col corpo, ma con l’anima – allo Stato.
La risposta di Gesù elimina questa confusione di poteri.
Alla podestà – talora invadente o soverchiante dello Stato – Gesù segnò come limite la lealtà che si deve, prima di tutto, a Dio: <<usque ad altare>>, diceva Platone, oppure, come nel limpido commento dell’eroina Giovanna d’Arco, fino al <<primato del servizio divino>>. (Dieu, le premier servi). E da quel momento, ogni qualvolta gl’incoercibili diritti della coscienza urteranno contro una ingiusta costrizione della politica, quest’ultima, dal cristiano verrà sempre postposta alla prima. Furono due discepoli di Gesù – in rappresentanza della Chiesa apostolica – coloro i quali – memori di questa famosa risposta del loro Maestro – tracciarono la lucida formula affermatrice della superiorità dello spirituale, nelle parole rivolte alle Autorità ebraiche del Sinedrio: <<Giudicate voi stessi se sia più giusto, dinanzi a Dio, l’ubbidire a voi, piuttosto che a Dio>> (Atti, IV ,19). Sarà Paolo da Tarso – il cittadino così fiero della sua romanità – il quale, appoggiato alle sbarre della carcere neroniana, scriverà queste parole che scoteranno dalle fondamenta l’impero dei Cesari: <<Io sono incatenato come un malfattore, ma la parola di Dio non s’incatena>>. (Tim, II, 9). Sarà Tertulliano che dirà, sulla tracce del vangelo del Maestro: <<A Cesare si potrà dare il proprio denaro, ma la coscienza solamente a Dio>> (Ut Caesari quidem pecuniam reddas. Deo temetipsum; De idol., XV). Saranno infine i martiri cristiani che col sangue loro suggelleranno l’assoluta verità delle parole del Cristo e, morendo, grideranno in faccia agli oppressori degl’inviolabili diritti dello spirito, parole di questa fierezza: <<Onorare il re, ma adorare solo il Dio immortale!>>, oppure: <<L’onore a Cesare come a Cesare, ma il timore a Dio!>>, oppure: <<Dio è il più grande, non gli imperatori>>.
La riforma dello Stato promulgata da Gesù, sollevò la Chiesa cristiana in un’alta sfera di libertà interiore e d’indipendenza che il paganesimo non avrebbe neppur potuto immaginare.
E fu precisamente questa libertà ecclesiastica assicurata da Gesù quella che gradatamente fece sentire il bisogno di ogni altra legittima libertà civile o politica all’individuo.
Anche sotto questo rispetto, il nome di Gesù merita di venire inciso nelle bronzee tavole della storia.
Da ultimo, un cenno sulla riforma sociale operata da Gesù.
. . . E’ vero che Gesù non tracciò in tema economico una regola permanente? Forse è vero, e ciò è stato un vantaggio nel senso che, s’Egli l’avesse tracciata , quella regola avrebbe tutt’al più potuto rispondere ai bisogni d’un tempo – del suo, forse – e alle esigenze d’uno speciale ambiente – dell’orientale forse – giacché le necessità della vita sociale si sviluppano e si modificano in modi infinitamente svariati. L’importante è che Gesù abbia previsto la soluzione, oggi in laboriosa gestazione, della questione sociale, e l’abbia chiusa nell’ambito del <<Regno di Dio>>, accanto ad altre realtà sociali, morali e spirituali. Questo fece il Cristo.
Di più alla nuova organizzazione economica che la nostra epoca va faticosamente elaborando, il Signore fin dal suo tempo aveva tracciato basi ideali e le aveva vivificate di quel suo spirito animatore il quale non può costringersi entro i ristretti paragrafi d’una costruzione sistematica, né dentro il quadro d’un piano mutevole.
Gesù, più che redigere un <<appello ai lavoratori>>, oppure un <<manifesto>>, o una <<magna charta>> o dei desiderata economici, costruì una morale sociale la quale getterà sempre luce su ogni rinascente problema intessuto di realtà e materiato di giustizia. Egli pensò che ricchezza e povertà, in fin dei conti, sono cose indifferenti in loro stesse e che la vera regola che le disciplina deve essere nell’anima dell’individuo formalmente buono, giacché sarà sempre vero che, finché l’individuo non sarà morale, neppure la società lo sarà mai.
Pertanto da questo punto di vista, il Maestro pose la questione sociale come un corollario della conversione morale e religiosa di quell’individuo al quale Egli tracciò una regola che penetra e investe tutta la vita nei suoi molteplici rapporti: quella<< regola d’oro>> che insegna di fare agli altri tutte le cose che l’individuo vuole che gli uomini facciano a lui (Matt, VII, 12). Questa è la regola sociale di quel <<Regno di Dio>> inaugurato da Gesù il quale è, anzi tutto, giustizia secondo il bell’aforisma: <<Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose [mangiare, bere, vestire] vi saranno date per sovrappiù>>.
Gesù ingrandì il cuore dell’uomo, le visioni dell’uomo, le aspirazioni dell’uomo e il senso di giustizia dell’uomo verso <<il prossimo>>; in ciò sta la vera grandezza e l’originalità di quel suo piano riformatore che non può mai esaurirsi perché attinge alle sorgenti eterne della vita e della sua perfettibilità. Nulla di consimile potrà dirsi delle regole economiche tracciate da . . . destinate a venir ben presto sostituire da altre, nate da diversità di situazioni storiche, e tutte ad un modo avviate a prorompere in una satanica ridda di esperimenti rivoluzionari, foschi d’incognite, gravidi di terrori, forieri di barbarie e rossi di sangue.
Data l’epoca, l’ambiente e la famiglia in cui Gesù era nato, quasi per forza di cose Egli doveva prendere a cuore la cosiddetta questione sociale. Si aggiunga che – oltre a essere nato in mezzo al popolo – Gesù si legò volutamente alla sua condizione sociale, giacché, come rileva di leggieri, Egli, se l’avesse desiderato, avrebbe potuto essere ricco e alto nel grado sociale. Le ingiustizie sociali da Lui denunziate l’ebbe dapprima a verificare in sé e nell’ambiente circostante per modo che, avendole guardate in faccia nella loro tragica realtà durante i penosi anni della sua preparazione al ministero, fu poi in grado di parlarne con competenza fin dal primo presentarsi come pubblico insegnante.
Infatti nel suo discorso – programma nella sinagoga di Nazareth, Egli si presentò in veste di <<evangelista dei poveri>> e di <<liberatore dei prigionieri e degli oppressi>>. Così pure, nel celebre <<discorso della montagna>>, Egli s’introdusse portando una nuova versione di queste, che la paganità aveva chiamato le <<beatitudini>> della vita:
<<Beati voi, ricchi della carne, perché vostro è il regno della terra!>>
<<Beati voi, o orgogliosi , perché voi erediterete la terra!>>
<<Beati voi che non sentite compassione, perché voi accumulerete denaro!>> (Questa<versione> pagana delle <<beatitudini>> è del noto esteta e sociologo Ruskin).
Alle <<beatitudini pagane>> Gesù contrappose queste <<sue>> beatitudini:
<<Beati i poveri di spirito, perché il Regno dei Cieli è loro!>>
<<Beati i mansueti, perché possederanno la terra!>>
<<Beati i misericordiosi, perché misericordia sarà loro fatta!>> (Matt, V, 3 ,5, 7).
Freme qui uno spirito nuovo che spiega il segreto dell’immenso successo della predicazione di Gesù.
I poveri e gli oppressi lo amarono tanto e si sentirono irresistibilmente da Lui attratti, perché Egli predicò in loro favore contro i ricchi e contro gli oppressori.
Nella storia precedente al Cristo nessuno aveva mai impersonato in sé la causa dei poveri e dei reietti della vita fino a farsene, come Gesù, loro portavoce.
E tutto lo conduceva a ciò: la sua missione, il suo amore, la sua natura e anche la sua conoscenza sperimentale e vissuta della vita. Le recenti esplorazioni fatte nel paese di Gesù ci pongono bene in grado di rintracciarvi i due estremi di povertà e di ricchezza che stridentemente si toccavano da vicino. Gesù visse in una età ricca, resa quasi febbrile dal più intenso traffico commerciale, Egli e i suoi discepoli furono estremamente poveri. Intorno a Lui, sulle spiagge ridenti del mare galilaico, i nobili romani fissavano la loro preferita residenza estiva . . .
Ridurremo a tre le principalissime conseguenze derivate da questo aspetto sociale della predicazione del Maestro divino.
Prima fu la creazione d’una coscienza sociale, fino a quel momento inesistente.
Gesù instillò nei suoi seguaci il principio della responsabilità individuale verso gli altri. Questo principio è, si può dire, la chiave di svolta del suo sistema saldamente imperniato, sulla nozione del Padre celeste, da Gesù rivelato al mondo. Il Padre del cielo è anche il vincolo della nuova solidarietà umana, e siccome Egli non salva gli uomini nel fascio, né dietro un sistema di rappresentanza collettiva, così li tiene individualmente responsabili ogni qualvolta un anello della catena della solidarietà umana si spezzi. Con simile insegnamento Gesù mirò a creare una coscienza sociale nell’individuo, e si spinse tanto innanzi nella emancipazione di questo principio, da giungere al punto di parlare di salvezza per quelli che sentissero il sublime affanno di questa loro responsabilità sociale, non certo disgiunta dalle altre condizioni di salvezza da Lui altrove poste.
Applicazioni pratiche di questo principio non potevano mancare nell’insegnamento del Cristo e in realtà non mancano. Così Gesù, nello spirito di questa coscienza sociale da Lui inculcata, rivendicò il diritto dell’operaio a una giusta paga: <<L’operaio è degno della sua mercede>> (Matt, XX,4; Luca, X, 7). . . Al commerciante, in genere, inculcò di usare un giusto peso, e di dare una giusta misura (Matt, VII, 2; Marco, IV,24; Luca, VI, 38). . . .”
San Leopoldo Mandic prega per l’unità della CHIESA
Autore, SAFET ZEC nato 1943 – EXODUS pittore appartenente al <<Realismo poetico>>