22 OTTOBRE
Il Santo, va oltre il nostro tempo, camminerà a braccetto con la storia dei popoli presenti e futuri, vivrà nel cuore delle persone di buona volontà, scavalcando i muri delle etnie e anche delle religioni – farà da ponte tra noi umani e la divinità, tra noi e Dio, tra noi e l’UNICO DIO,TRINO – Padre, Figlio e Spirito Santo. E già – il Dio dei nostri antenati, lo stesso di oggi, di domani, dell’eternità – non è il “Dio di turno” scelto da noi, oppure “non votato” – Lui c’è e sarà sempre. Noi invece siamo di passaggio: figli e figli dei figli … sempre al Dio di Abramo si rivolgono. E se è un SOLO Dio, UNO SOLO è il nemico, lo stesso da sempre: il demonio, nelle 1001 sfaccettature – tra cui eccelle, la guerra e l’odio tra fratelli, la menzogna, il tradimento, la crudeltà … Il primo omicidio che fu fratricidio Caino, il seme del male, fu lasciato vivere, non se ne pentì del suo gesto. Dio ha scelto di lasciarci il libero arbitrio, tu puoi decidere da che parte stare: bene, oppure male, non esiste neutralità in materie di coscienza. Non esiste la coscienza part-time, bianca e nera; o bianca o nera.
“NON ABBIATE PAURA!”
Nei testi per la Messa in onore di san Giovanni Paolo viene riportato proprio uno stralcio dell’omelia della messa d’inizio pontificato: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!».
Non la data della morte (2 aprile) né quella di nascita (18 maggio). Per la festa liturgica di san Giovanni Paolo II, la Chiesa ha scelto quella del 22 ottobre, giorno in cui, nel 1978, papa Wojtyla iniziava ufficialmente il suo ministero petrino dopo l’elezione in Conclave avvenuta il 16 ottobre. Il suo pontificato è durato 26 anni, 5 mesi e 17 giorni ed è stato il terzo più lungo della storia della Chiesa.
"Il mio predecessore Paolo VI sollevò questa questione: “Può uno Stato chiedere fruttuosamente la completa fiducia e collaborazione, mentre con una specie di “confessionalismo negativo” si proclama ateo e dichiara che rispetta entro un contesto individuale credenze che assumono posizioni contro la fede di parte dei suoi cittadini?” (Paolo VI, Discorso al Corpo Diplomatico, 14 gennaio 1978: AAS 70 [1978] 170). La giustizia, la sapienza e il realismo richiedono tutti che le perniciose posizioni del secolarismo siano superate, particolarmente il costringere erroneamente il fatto religioso alla sfera puramente privata. Ad ogni persona deve esser data la possibilità, entro il contesto della nostra vita di insieme, di professare la propria fede e il proprio credo, da sola o con gli altri, in privato e in pubblico. C’è un ultimo punto che merita considerazione. Mentre si insiste – e a buon diritto – sulla rivendicazione dei diritti umani, non si dovrebbero perdere di vista gli obblighi e i doveri che si associano a questi diritti. Ogni individuo ha l’obbligo di esercitare i suoi diritti fondamentali in una maniera responsabile e moralmente giustificata. Ogni uomo e ogni donna hanno il dovere di rispettare negli altri i diritti che reclamano per sé. Inoltre, tutti dobbiamo dare il nostro contributo alla costruzione di una società che renda possibile e praticabile il godimento dei diritti e l’adempimento dei doveri inerenti a questi diritti. Nel concludere questo messaggio, desidero porgere a lei, Signor Segretario Generale, e a tutti coloro che con qualsiasi funzione operano nella vostra Organizzazione, i miei auguri di gran cuore, con la speranza che le Nazioni Unite continueranno instancabilmente a promuovere dovunque la difesa della persona umana e della sua dignità, nello spirito della Dichiarazione Universale." Dal Vaticano, 2 dicembre 1978 IOANNES PAULUS PP. II il testo integrale giù
Non posso non delineare la differenza tra uomini e <<uomini di Dio>>, André Frossard sapeva leggere oltre
Pag. 96:
“Attrezzato come nessun altro per il combattimento ravvicinato della controversia, il santo padre detesta la polemica e le sue classificazioni sommarie. E’ pur vero che egli ha avuto dal cielo due carismi che lo dispensano dall’entrare nei nostri miserevoli litigi. Il primo è di agire con la sua sola presenza, come tutti hanno potuto vedere, il giorno del suo insediamento quando, senza che egli avesse ancora pronunciato più di tre parole, si videro piangere dei diplomatici nei loro banchi ufficiali, fenomeno raro quanto una pioggia di marzo nel Sahel.
Quando un dissenso sorge nella Chiesa, egli convoca gli antagonisti, si siede a una estremità del tavolo, non dice niente, e tutto si aggiusta. Lo si è visto in occasione di certi sinodi che si annunciavano tempestosi e che sono finiti come dei sereni tramonti, poiché ciascuno, sotto lo sguardo del papa, si era reso conto che l’antagonista aveva lui pure i suoi argomenti, che non erano tutti cattivi.
Altro dono – che pure caratterizza l’uomo – è la capacità di risalire alle cause, molto indietro nella storia, o molto in alto nella teologia. Leggendo le pagine che precedono, ci si sarà accorti più di una volta che egli non esita mai a rifarsi alla Genesi, e anche più in là, per portare le conseguenze molto avanti nel futuro. Parlando per immagini, possiamo dire che egli punta una delle aste del suo compasso intellettuale sulla questione del giorno e che divarica l’altra quanto più possibile nel lontano passato. Gli basta poi far ruotare lo strumento perché la curva del suo pensiero vi porti al centro delle vostre realtà finali e siano così irrimediabilmente sorvolate e superare le divisioni che vi sembravano così gravi un istante prima. Per esempio, la sua concezione della fede, che egli ha lungamente spiegata, mi sembra bellissima e del tutto irrefutabile, ma, con il concetto di redenzione, essa implica il senso del peccato, che sembra proprio sul punto di andare perduto, con grave danno per l’umanità, poiché il senso del peccato è legato alla dignità dell’essere umano in modo tale che c’è più onore a riconoscere una colpa che a compiere qualsiasi azione di grande risonanza”.
Pezzi di cuore del Santo che rivoluzionò il mondo contemporaneo, parole SUE …
Le attese profonde dell’uomo
Se si analizzano le attese che l’uomo contemporaneo ha nei confronti del sacerdote, si vedrà che, nel fondo, c’è in lui una sola, grande attesa: egli ha sete di Cristo. Il resto .- ciò che serve sul piano economico, sociale, politico – lo può chiedere a tanti altri.
Al sacerdote chiede Cristo! E da lui ha diritto di attenderselo innanzitutto mediante l’annuncio della Parola. I presbiteri – insegna il Concilio – <<hanno come primo dovere quello di annunziare a tutti il Vangelo di Dio>> (Presbyterorum ordinis, 4). Ma, l’annuncio mira a far sì che l’uomo incontri Gesù, specie nel mistero eucaristico, cuore pulsante della Chiesa e della vita sacerdotale. E’ un misterioso, formidabile potere quello che il sacerdote ha nei confronti del Corpo eucaristico di Cristo. In base ad esso egli diventa l’amministratore del bene più grande della Redenzione, perché dona agli uomini il Redentore in persona. Celebrare l’Eucaristia è la funzione più sublime e più sacra di ogni presbitero. E per me, fin dai primi anni del sacerdozio, la celebrazione dell’Eucaristia è stata non soltanto il dovere più sacro, ma soprattutto il bisogno più profondo.
Ministro della misericordia
Il sacerdote testimone e strumento della misericordia divina! Come è importante il servizio del confessionale nella sua vita! Proprio nel confessionale la sua paternità spirituale si realizza nel modo più pieno. Proprio nel confessionale ogni sacerdote diventa testimone dei grandi miracoli che la misericordia divina opera nell’anima che accetta la grazia della conversione. E’ necessario però che ogni sacerdote al servizio dei fratelli nel confessionale sappia fare egli stesso esperienza di questa misericordia di Dio, attraverso la propria regolare confessione e la direzione spirituale.
Amministratore dei misteri divini, il sacerdote è uno speciale testimone dell’Invisibile nel mondo. E’ infatti amministratore di beni invisibili e incommensurabili, che appartengono all’ordine spirituale e soprannaturale.
Un uomo a contatto con Dio
Quale amministratore di simili beni, il sacerdote è in permanente, particolare contatto con la santità di Dio.
Chiamato alla santità
Ho scritto una volta: <<La preghiera crea il sacerdote e il sacerdote si crea attraverso la preghiera>>. Sì, il sacerdote dev’essere innanzitutto uomo di preghiera, convinto che il tempo dedicato all’incontro intimo con Dio è sempre il meglio impiegato, perché oltre che a lui giova al suo lavoro apostolico.
Se il Concilio Vaticano II parla della universale vocazione alla santità, nel caso del sacerdote bisogna parlare di una speciale vocazione alla santità. Cristo ha bisogno di sacerdoti santi! Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi. Soltanto un sacerdote santo può diventare, in un mondo sempre più secolarizzato, un testimone trasparente di Cristo e del suo Vangelo. Soltanto così il sacerdote può diventare guida degli uomini e maestro di santità. Gli uomini, soprattutto i giovani, aspettano una tale guida. Il sacerdote può essere guida e maestro nella misura in cui diventa un autentico testimone!
La cura animarum
Nella mia ormai lunga esperienza, tra tante situazioni diverse, mi sono confermato nella convinzione che soltanto dal terreno della santità sacerdotale può crescere una pastorale efficace, una vera <<cura animarum>>. Il segreto più vero degli autentici successi pastorali non sta nei mezzi materiali, ed ancor meno nei <<mezzi ricchi>>. I frutti duraturi degli sforzi pastorali nascono dalla santità del sacerdote.
Uomo della Parola
… gli uomini di oggi si aspettano dal sacerdote, prima che la parola <<annunciata>>, la parola <<vissuta>>. Il presbitero deve <<vivere>> della Parola. Al tempo stesso, però, egli si sforzerà di essere anche preparato intellettualmente per conoscerla a fondo ed annunciarla efficacemente.
Nella nostra epoca caratterizzata da un alto grado di specializzazioni in quasi tutti i settori della vita, la formazione intellettuale è quanto mai importante. Essa rende possibile intraprendere un dialogo intenso e creativo con il pensiero contemporaneo. Gli studi umanistici e filosofici e la conoscenza della teologia sono le strade per giungere a tale formazione intellettuale, che dovrà poi essere approfondita per tutta la vita.
Lo studio, per essere autenticamente formativo, ha bisogno di essere costantemente affiancato dalla preghiera, dalla meditazione, dall’implorazione dei doni dello Spirito Santo: la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. San Tomasso d’Acquino spiega in che modo, con i doni dello Spirito Santo, tutto l’organismo spirituale dell’uomo venga sensibilizzato alla luce di Dio, alla luce della conoscenza e anche all’ispirazione dell’amore. La preghiera per i doni dello Spirito Santo mi ha accompagnato fin dalla giovinezza e le sono tuttora fedele.
Approfondimento scientifico
Ma certamente, come insegna lo stesso San Tommaso, la <<scienza infusa>>, che è frutto di speciale intervento dello Spirito Santo, non esonera dal dovere di procurarsi la <<scienza acquisita>>.
… Più tardi, per volontà del mio Vescovo, dovetti occuparmi di scienza come professore di etica alla Facoltà Teologica di Cracovia e all’Università Cattolica di Lublino. Frutto di questi studi fu il dottorato su San Giovanni della Croce e poi la tesi per la libera docenza su Max Scheler: specificamente, sul contributo che il suo sistema etico di tipo fenomenologico può dare alla formazione della teologia morale. A questo lavoro di ricerca devo veramente molto. Sulla mia precedente formazione aristotelica-tomista si innestava cos’ il metodo fenomenologico, cosa che mi ha permesso di intraprendere numerose prove creative in questo campo. Penso soprattutto al libro <<Persona e atto>>. In questo modo mi sono inserito nella corrente contemporanea del personalismo filosofico, studio che non è stato privo di frutti pastorali. Spesso constato che molte delle riflessioni maturate in questi studi mi aiutano durante gli incontri con singole persone e durante gli incontri con le folle dei fedeli in occasione dei viaggi apostolici. Questa formazione nell’orizzonte culturale del personalismo mi ha dato più profonda consapevolezza di quanto ciascuno sia persona unica e irripetibile, e ritengo tale consapevolezza molto importante per ogni sacerdote.
Il dialogo con il pensiero contemporaneo
Grazie ad incontri e discussioni con naturalisti, fisici, biologi ed anche storici ho imparato ad apprezzare l’importanza delle altre branche del sapere riguardanti le discipline scientifiche, alle quali pure è dato di poter giungere alla verità sotto angolature diverse. Bisogna quindi che lo splendore della verità – Veritatis splendor – le accompagni continuamente, permettendo agli uomini di incontrarsi, di scambiarsi le riflessioni e di arricchirsi reciprocamente. Ho portato con me da Cracovia a Roma la tradizione di periodici incontri interdisciplinari, che si svolgono regolarmente nel periodo estivo a Castel Gandolfo. Cerco di essere fedele a questa buona consuetudine.
“In tutte queste occasioni ho parlato a nome della coscienza di milioni di persone, e in accordo al mio ministero ho lanciato un appello per un arresto della corsa agli armamenti, specialmente per quanto concerne le armi nucleari, in modo da porre le basi per un reale progresso volto al disarmo e alla pace.
Gli scienziati e coloro che si occupano della applicazione tecnologica delle scoperte scientifiche hanno un ruolo particolare da svolgere in questo campo. In vista della loro particolare responsabilità mi prendo la libertà di rivolgere questo messaggio a tutte le illustri personalità che parteciperanno al Seminario.
Voi partecipanti vi trovate in una posizione privilegiata rispetto ad altri nel valutare gli effetti apocalittici di una guerra nucleare: in particolare, le inaudite sofferenze e la tremenda distruzione di vite umane e di opere che sono frutto della civilizzazione. Voi potete più facilmente costatare che la logica della dissuasione nucleare non può essere considerata un traguardo finale o un mezzo appropriato e sicuro per salvaguardare la pace internazionale.
L’equilibrio delle armi nucleari è un equilibrio del terrore. Ha già inghiottito troppe risorse dell’umanità per opere e strumenti di morte. E sta continuando ad assorbire immense energie intellettuali e fisiche, allontanando la ricerca scientifica dalla promozione dei valori umani più autentici e indirizzandola alla produzione di dispositivi distruttivi.
In questo modo la scienza stessa è degradata ed è in un certo senso svuotata del suo significato più profondo: la scoperta delle leggi universali e immutabili che governano la natura, in modo da offrire all’uomo un dominio (cf. Gen 1,28) consistente in una adesione docile e consapevole al fine d’amore che il Creatore ha affidato alla natura fin dall’inizio.
Scienza e religione non sono affatto in contrasto tra loro. Sono entrambe impegnate nella realizzazione dei piani di Dio per l’uomo. Da parte sua, l’uomo ha la terribile responsabilità di prendere decisioni o in armonia o in contrasto con quei piani, creando così una cultura o d’amore o di odio.
Per questa ragione, la Chiesa, conscia delle tentazioni al male che possono allettare il cuore umano, proclama la verità di Cristo, il Redentore dell’uomo, che ha seminato il seme di un’autentica civiltà dell’amore, dando a coloro che credono in lui il coraggio di essere fratelli e sorelle di tutti coloro che sono figli dello stesso Padre del cielo, e concedendo la grazia che trasforma il cuore umano, rendendolo docile all’insegnamento di Dio (cf. Gv 6,45).
Desidero lanciare un accorato appello a voi scienziati, al vostro impegno, al vostro prestigio, alla vostra coscienza, affinché facendo luce sugli effetti insensati e catastrofici della guerra, voi possiate promuovere una cultura – la sola cultura degna dell’uomo – basata sui valori perenni della verità e dell’amore.
Sui lavori del vostro Seminario invoco la luce e l’incoraggiamento dell’Altissimo.
Castel Gandolfo, 14 agosto 1982.” – è un pezzo dal discorso – rivolto agli scienziati …
Riprendiamo il racconto dal libro del cuore di questo grande SANTO
… il ministro della Parola. Egli deve essere davvero uomo di scienza nel senso più alto e religioso di questo termine. Deve avere e trasmettere quella <<scienza di Dio>> che non è solo un deposito di verità dottrinali, ma esperienza personale e viva del Mistero, nel senso indicato dal Vangelo di Giovanni nella grande preghiera sacerdotale: <<Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo>> (Gv, 17, 3).
A San Floriano in Cracovia
La pastorale universitaria di Cracovia aveva allora il suo centro presso la chiesa di Sant’Anna, ma con lo sviluppo di nuove facoltà si avvertì il bisogno di creare un nuovo centro proprio presso la parrocchia di San Floriano. Cominciai lì le conferenze per la gioventù universitaria; le tenevo ogni giovedì e vertevano sui problemi fondamentali riguardanti l’esistenza di Dio e la spiritualità dell’anima umana, temi di particolare impatto nel contesto dell’ateismo militante, proprio del regime comunista.
Il primo <<incarico di lavoro>>
Appena giunto a Cracovia, trovai nella Curia metropolitana il primo <<incarico di lavoro>>, la cosiddetta <<aplikata>>. L’Arcivescovo era allora a Roma, ma aveva lasciato per iscritto la sua volontà. Accettai la destinazione con gioia. Mi informai subito come giungere a Niegowić e mi detti da fare per essere là nel giorno stabilito. Andai da Cracovia a Gdów in autobus, da lì un contadino mi diede un passaggio con il carretto verso la campagna di Marszowice, dopo di che mi consigliò di prendere a piedi una scorciatoia attraverso i campi. Scorgevo già in lontananza la chiesa di Niegowić. Era il tempo della mietitura. Camminavo tra campi di grano con le messi in parte già mietute, in parte ancora ondeggianti al vento. Quando giunsi finalmente nel territorio della parrocchia di Niegowić, mi inginocchiai e baciai la terra. Avevo imparato questo gesto da San Giovanni Maria Vianney. In chiesa sostai davanti al Santissimo Sacramento e poi mi presentai al parrocco, Mons. Kazimierz Buzała, decano di Niepołomice e parrocco di Niegowić, il quale mi accolse molto cordialmente e dopo un breve colloquio mi mostrò l’abitazione del vicario.
L’orizzonte europeo
L’esperienza fatta al Collegio Belga s’allargò, in seguito, grazie ad un contatto diretto non solo con la nazione belga, ma anche con quella francese e olandese. Col consenso del Cardinale Sapienha, durante le vacanze estive del 1947 il P. Stanisław Starowieyski ed io potemmo visitare quei Paesi. Mi aprivo così ad un più largo orizzonte europeo. A Parigi, ove presi dimora nel Seminario Polacco, potei conoscere da vicino la vicenda dei preti operai, la problematica affrontata nel libro dei Padri H. Godin e Y. Daniel: <<La France, pays de mission?>> e la pastorale delle missioni nelle periferie di Parigi, soprattutto nella parrocchia guidata da P. Michonneau. Queste esperienze, nel primo e secondo anno di sacerdozio, rivestirono per me un enorme interesse.
La figura di San Giovanni Maria Vianney
Sulla strada del rientro dal Belgio a Roma, ebbi la fortuna di sostare ad Ars. Era la fine di ottobre del 1947, la domenica di Cristo Re. Con grande commozione visitai la vecchia chiesetta dove San Giovanni M. Vianney confessava, insegnava il catechismo e teneva le sue omelie. Fu per me un’esperienza indimenticabile. Fin dagli anni del seminario ero rimasto colpito dalla figura del parroco di Ars, soprattutto alla lettura della biografia scritta da Mons. Trochu. San Giovanni M. Vianney sorprende soprattutto perché in lui si rivela la potenza della grazia che agisce nella povertà dei mezzi umani. Mi toccava nel profondo, in particolare, il suo eroico servizio nel confessionale. Quell’umile sacerdote che confessava più di dieci ore al giorno, nutrendosi poco e dedicando al riposo appena alcune ore, era riuscito, in un difficile periodo storico, a suscitare una sorta di rivoluzione spirituale in Francia e non soltanto in Francia. Migliaia di persone passavano per Ars e si inginocchiavano al suo confessionale. Sullo sfondo della laicizzazione e dell’anticlericalismo del XIX secolo, la sua testimonianza costituisce un evento davvero rivoluzionario.
La <<prima Messa>>
Essendo stato ordinato sacerdote nella festa di Tutti i Santi, celebrai la <<prima Messa>> il giorno dei Morti, il 2 novembre 1946. In tale giorno ogni sacerdote può celebrare per l’utilità dei fedeli tre Sante Messe. La mia <<prima>> Messa perciò ebbe – per così dire – un carattere triplo. Fu un’esperienza di singolare intensità. Celebrai le tre Sante Messe nella cripta di San Leonardo che costituisce, nella cattedrale del Wawel, a Cracovia, la parte anteriore della cosiddetta cattedra vescovile di Herman. E’ impregnata, più di qualsiasi altro tempio della Polonia, di contenuti storici e teologici. Riposano in essa i re polacchi, cominciando da Władysław Łokietek: nella cattedrale del Wawel i re erano incoronati e in essa venivano poi sepolti. Chi visita quel tempio si trova faccia a faccia con la storia della Nazione.
Proprio per questo, come ho detto, scelsi di celebrare le mie prime Messe nella cripta di San Leonardo: volevo sottolineare il mio particolare legame spirituale con la storia della Polonia, che sul colle del Wawel aveva quasi una sintesi emblematica. Ma non era solo questo. C’era, in questa scelta, anche una speciale valenza teologica. Come ho detto, ero stato ordinato il giorno prima, nella solennità di Tutti i Santi, quando la Chiesa dà espressione liturgica alla verità della comunione dei santi – communio sanctorum. I Santi sono coloro che, avendo accolto nella fede il mistero pasquale di Cristo, attendono ora la risurrezione finale.
Anche le persone, i cui resti mortali riposano nei sarcofagi della cattedrale del Wawel, aspettano lì la risurrezione. Tutta la cattedrale sembra ripetere le parole del Simbolo degli Apostoli: <<Credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna>>. Questa verità di fede illumina anche la storia delle Nazioni.
<<Lo scoppio della guerra mi allontanò dagli studi e dall’ambiente universitario. In quel periodo persi mio padre, l’ultima persona che mi restava dei miei più stretti familiari. Anche questo comportava, oggettivamente, un processo di distacco dai miei progetti precedenti; in qualche modo era come venir sradicato dal suolo sul quale fino a quel momento era cresciuta la mia umanità.
Non si trattava però di un processo soltanto negativo. Alla mia coscienza, infatti, nel contempo si manifestava sempre più una luce: il Signore vuole che io diventi sacerdote. Un giorno lo percepii con molta chiarezza: era come una illuminazione interiore, che portava in sé la gioia e la sicurezza di un’altra vocazione.
E questa consapevolezza mi riempì di una grande pace interiore>>.
Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! (Eb 13, 8)
Esattamente 19 anni fa, cioè 10/10/2003 La Repubblica
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/10/10/nobel-al-papa-emozione-in-vaticano.html
Nobel al Papa, emozione in Vaticano
CITTà DEL VATICANO – Tra tensione ed emozione il Vaticano attende il grande annuncio. Quasi ritenendolo impossibile. Il Papa cattolico insignito dai saggi di Oslo? Non si è visto mai. Il Papa fatto premio Nobel dalla giuria di un paese luterano, totalmente alieno al culto del pontefice, rappresenta un tale terremoto da creare quell’ atmosfera di nervosa immobilità che prelude alle grandi giornate. Perché se oggi la giuria proclamerà il suo «habemus pontificem», Karol Wojtyla avrà colto un altro record. Riceverà l’ alloro di principe della pace in un mondo sempre più diviso, ma pronto a riconoscere che quel vecchio fragile e ammalato, seduto sul trono di Pietro, riesce a parlare una lingua che tutti capiscono superando le barriere degli stati, delle culture, delle fedi. E se anche qualcuno nel palazzo apostolico ricorda la “prima volta” del Premio Balzan conferito a Giovanni XXIII, il paragone non si può proprio fare. Troppo grande è la potenza simbolica del Nobel, nella sua laica universalità, e troppo squillante l’ eco del riconoscimento proprio nell’ anno in cui Karol Wojtyla si è opposto decisamente all’ avventura irachena, ingaggiando un caparbio duello con l’ unica superpotenza rimasta. Comunque, dagli appartamenti apostolici è già stata trasmessa al mondo un’ ufficialissima indiscrezione. Se gli danno il Nobel, Giovanni Paolo II lo accetterà. Smentendo quella piccola frangia di papalini ad oltranza, che sostengono che il pontefice romano è così al di sopra di tutti che accettare il premio sarebbe sminuirsi. Il cardinale Achille Silvestrini, per lungo tempo ministro degli Esteri vaticano, è convinto che con la sua azione il pontefice abbia assunto di fatto il ruolo di portavoce di tutta la cristianità e perciò propone un’ iniziativa straordinaria. La convocazione di un sinodo ecumenico con i capi di tutte le Chiese cristiane, dedicato alla pace e alle responsabilità dei cristiani di fronte alla guerra. E’ emersa, sostiene il porporato, «una dimensione del magistero petrino che non si conosceva». Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana, preannuncia che la comunità islamica sarebbe felice se il Nobel andasse al Papa. Karol Wojtyla, afferma, «ha dimostrato grande apertura verso tutte le religioni, nessuno al mondo si opporrebbe». Da Cracovia il sindaco di Roma, Walter Veltroni, auspica che il riconoscimento venga ad un papa che si è battuto contro la guerra, per la pace in Medio Oriente e «per la giustizia e contro la povertà in tanti paesi del mondo». Lunedì prossimo il consiglio comunale terrà un’ assemblea straordinaria con la partecipazione del cardinal Vicario Camillo Ruini e del sottosegretario agli Esteri Mario Baccini. E, intanto, filtrano retroscena sullo stile tutto personale con cui Giovanni Paolo II ha elaborato negli anni le grandi scelte di politica internazionale. «Nulla sarebbe più errato che immaginarselo seduto nel suo ufficio ad elaborare, con l’ aiuto di un atlante geografico e di voluminosi rapporti, una strategia “vaticana”», ha raccontato il neo-cardinale Jean-Louis Tauran, fino all’ altro ieri ministro degli Esteri papale. Invece le grandi decisioni del pontificato sono state sempre pensate e prese in preghiera «davanti al tabernacolo» nella sua cappella. Pesano su tutto, però, l’ ansia continua per le condizioni di salute del pontefice e i nascenti malumori sul rischio che altri potrebbero gestire il governo della Chiesa in presenza di un papa impedito. Il cardinale belga, Godfried Danneels, un papabile, ha dichiarato che in futuro i pontefici non resteranno in carica a vita, ma «potranno rimettere il loro mandato quando lo riterranno opportuno». Noi tutti, ha soggiunto, arrivati a novanta o cento anni «non siamo più in grado di farci carico delle nostre responsabilità». Le abdicazioni dei papi, secondo Danneels, sono solo questione di tempo.
MARCO POLITI10 ottobre 2003
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1998/january/documents/hf_jp-ii_spe_19980121_lahavana-arrival.html
L’ultima parte del discorso di Giovanni Paolo II –
VIAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
A CUBA (21-26 GENNAIO 1998)CERIMONIA DI BENVENUTO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II Aeroporto Internazionale «José Martí» di La Habana
21 gennaio 1998
3. Con questo Viaggio apostolico vengo, nel nome del Signore, a confermarvi nella fede, ad animarvi nella speranza, ad incoraggiarvi nella carità; per condividere il vostro profondo spirito religioso, le vostre pene, le vostre gioie e le vostre sofferenze, celebrando, come membri di una grande famiglia, il mistero dell’Amore divino e renderlo più profondamente presente nella vita e nella storia di questo nobile popolo, che ha sete di Dio e dei valori spirituali che la Chiesa, in questi cinque secoli di presenza sull’Isola, non ha mai smesso di dispensare. Vengo come pellegrino dell’amore, della verità e della speranza, con il desiderio di dare un nuovo impulso all’opera evangelizzatrice che, anche in mezzo alle difficoltà, questa Chiesa locale prosegue con vitalità e dinamismo apostolico camminando verso il terzo Millennio cristiano.
4. Nel compimento del mio ministero, ho sempre annunciato la verità su Gesù Cristo, il quale ci ha rivelato la verità sull’uomo, la sua missione nel mondo, la grandezza del suo destino e la sua inviolabile dignità. A tale proposito, il servizio all’uomo è il cammino della Chiesa. Oggi vengo a condividere con Voi la mia profonda convinzione che il Messaggio del Vangelo conduce all’amore, alla dedizione, al sacrificio e al perdono, in modo che se un popolo percorre questo cammino vuol dire che è un popolo che ha la speranza di un futuro migliore. Perciò, fin dai primi momenti della mia presenza fra di Voi, voglio dire con la stessa forza dell’inizio del mio Pontificato: «Non abbiate paura di aprire il vostro cuore a Cristo», lasciate che Egli entri nella vostra vita, nelle vostre famiglie, nella società, affinché in questo modo tutto venga rinnovato. La Chiesa ripete questo appello, convocando tutti, senza eccezioni: persone, famiglie, popoli, affinché seguendo fedelmente Gesù Cristo incontrino il senso pieno della loro vita, si pongano al servizio dei loro simili, trasformino i rapporti familiari, lavorativi e sociali, il che andrà sempre più a beneficio della Patria e della società.
5. La Chiesa a Cuba ha annunciato sempre Gesù Cristo, anche se a volte ha dovuto farlo con un numero insufficiente di sacerdoti e in circostanze difficili. Desidero esprimere la mia riconoscenza a tanti credenti cubani per la loro fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Papa, come anche per il rispetto dimostrato nei confronti delle tradizioni religiose più autentiche apprese dagli avi e per il coraggioso e perseverante spirito di dedizione di cui hanno dato prova nelle loro sofferenze e aspirazioni. Tutto ciò è stato ricompensato in molte occasioni dalla solidarietà dimostrata da altre comunità ecclesiali dell’America e del mondo intero. Oggi, come sempre, la Chiesa a Cuba desidera poter disporre dello spazio necessario per continuare a servire tutti in conformità alla missione e agli insegnamenti di Gesù Cristo.
Amati figli della Chiesa cattolica a Cuba: so bene quanto avete atteso il momento della mia Visita e voi sapete quanto io l’ho desiderato. Per questo accompagno con la preghiera i miei migliori auspici affinché questa terra possa offrire a tutti un clima di libertà, di fiducia reciproca, di giustizia sociale e di pace duratura. Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba, affinché questo popolo che come ogni uomo e ogni nazione ricerca la verità, lavora per andare avanti, aspira alla concordia e alla pace, possa guardare al futuro con speranza.
6. Con la fiducia riposta nel Signore e sentendomi profondamente unito agli amati figli e figlie di Cuba, ringrazio di cuore per questa calorosa accoglienza con la quale inizia la mia Visita pastorale, che affido alla materna protezione della Santissima «Virgen de la Caridad del Cobre». Benedico di cuore tutti e, in modo particolare, i poveri, i malati, gli emarginati e quanti soffrono nel corpo e nello spirito.
Sia lodato Gesù Cristo
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L'ATTENTATO RACCONTATO da Don Stanislao e dal Prof. Crucitti chirurgo di fama internazionale, colui che operò il Santo Padre
San Giovanni Maria Battista Vianney (1786 – 1859)
1964, Casale – La Vita del Santo Curato d’Ars, fu pilastro per il futuro Papa Giovanni Paolo II – che io ho scelto come mentore, fa riferimento spesso a questo libro e bisogna leggerlo per comprendere il suo valore – alcune pagine – 718 pagine in totale.
Il Santo Curato d'Ars di Francesco Trochu - 1964 -Editore Marietti
Il Santo Curato d'Ars di Francesco Trochu - 1964 -Editore Marietti
Pagina autografa dei Sermoni del Santo Giovanni Maria Vianney
Il letto del Santo Curato d'Ars, in esso spirò il 4 agosto 1859 - le sue scarpe e alcuni oggetti personali
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Avevo incontrato di persona la soprano Chiara Taigi, nel ottobre del 2008 … nella Basilica Mauriziana a Torino, io entrai per conto mio, mentre lei era aspettata da Don Salvatore, devota di Santa Teresina di Lisieux, che in quella Chiesa aveva un bel quadro. Era 1 ottobre 2008, mi ricordo che una volta entrata ha cantato e suonato l’organo, poi Don Salvatore ha voluto che ci parlasse a tutti, testimoniando che ancora oggi, in alcuni posti, il crocifisso al collo crea ostacoli, chiede fede e coraggio per essere difeso. Lei, Chiara Taigi, ha dovuto difendere la sua fede dai pregiudizi … Solo due volte l’ho incontrata “in carne ed ossa”, l’avevo sentita cantare e testimoniare la sua fede – a me è bastato per comprendere la dimensione universale della sua umanità, della sua arte, della sua spiritualità.
Sapevo la storia, l’incontro con Giovanni Paolo II, il suo destino cambiato grazie a questo grande uomo di cultura
Intervista su CronacaQui To 2013
Chiara Taigi, protagonista dell’Andrea Chénier, e gli inizi grazie a Giovanni Paolo II
La soprano, il Papa e la Orlandi
<<Quel dramma mi cambiò la vita>>
articolo apparso il venerdì, 18 gennaio 2013 sul giornale CronacaQui Torino firmato da – Simona Totino
….
Chiara Taigi racconta …
“Io sono così, vivo di queste energie positive che mi arrivano dalla mia fede e da Papa Giovanni Paolo II cui devo tutto.
Ci spieghi meglio …
“Io sono nata a Roma, e a 14 anni mi esibii davanti al Papa cantando l’Ave Maria. Fu in quell’occasione che Giovanni Paolo mi notò e fece in modo che io potessi seguire la scuola di musica vaticana. Una scuola costosissima che la mia famiglia non si sarebbe mai potuta permettere. Grazie al suo interessamento io la frequentai accedendo alle borse di studio. Tra le mie compagne di scuola c’era anche Emanuela Orlandi.
Era una ragazza dolcissima, molto brava a suonare il flauto. Ho un rammarico, però, il giorno prima della sua scomparsa litigammo, per una stupidaggine, per il fatto che lei portava i jeans e noi la divisa, cose da ragazzine. Però non la vidi più e ancora oggi ci sto male.”
Che idea si è fatta di quell’episodio?
“Ovviamente nessuna. So solo che la nostra vita a scuola cambiò per sempre, le cose non furono mai come prima”.
Il pubblico torinese ha dimostrato di amarla molto, c’è un legame particolare?
Amo questa città, non soltanto perché qui la mia carriera ebbe una svolta con la “Medea”, quando conobbi Evelino Pidò che poi mi portò a Catania, ma anche perché questa è la città della Sindone. Io vivo di fede, la mia vita e i miei percorsi sono fatti di fede. Il mio motto è “chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri trovano una scusa”, la strada è la fede.”
https://www.chiarataigi.com/
L’Inno d’Italia integrale, cantato dalla soprano Chiara Taigi alla Rai
Da straniera, trovo utile comprendere il testo di questo inno – ho cercato e trovato
https://www.sololibri.net/Inno-di-Mameli-testo-e-significato.html
Il testo dell’Inno di Mameli
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
poi la spiegazione del testo …
Parafrasi dell’Inno d’Italia
“Fratelli italiani, compatrioti, l’Italia si è svegliata; si è posta sul capo l’elmo di Scipione l’Africano. Dov’è la Vittoria? Ceda all’Italia la sua chioma (i Romani usavano tagliare i capelli agli schiavi, per questo la Vittoria come schiava dovrà porgere la chioma all’Italia perché la tagli), giacché Dio l’ha fatta schiava di Roma. Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Da secoli noi veniamo calpestati e derisi, perché non siamo uniti in un solo popolo, perché siamo divisi. Ci raccolga un’unica bandiera, una sola speranza: è giunto il tempo che ci fondiamo in un’unità. Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Uniamoci, amiamoci; l’unione e l’amore rivelano ai popoli le strade del Signore. Giuriamo di liberare la terra in cui siamo nati: uniti, grazie a Dio, chi potrà sconfiggerci? Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Dalle Alpi alla Sicilia, su tutto il territorio da nord a sud, ogni luogo è Legnano (dove nel 1176 i comuni lombardi sconfissero Federico I Barbarossa); ognuno di noi ha il coraggio e il valore di Francesco Ferrucci (un eroico difensore della Repubblica di Firenze); i bambini italiani si chiamano Balilla (soprannome di Giovan Battista Perasso, il giovane che a Genova diede l’inizio alla sollevazione contro gli Austriaci); tutte le campane suonarono i Vespri (1282, i Vespri Siciliani, il movimento popolare che scoppiò a Palermo contro il dominio francese). Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Le spade dei mercenari diventano fragili come giunchi che si piegano; già l’Aquila (simbolo araldico dell’Austria imperiale) ha perso le sue penne, è indebolita. Ha bevuto, con i suoi alleati cosacchi, il sangue italiano (guerre di successione tra il 1700 e il 1748) e quello polacco (si riferisce allo smembramento della Polonia tra il 1772 e il 1795), ma le hanno bruciato il cuore, la situazione le si è rivoltata contro. Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Inno di Mameli, significato
L’Inno di Mameli ripercorre alcuni degli episodi salienti della storia del nostro paese. Grande attenzione viene posta sul passato dell’Impero Romano, esempio di onore e grandezza. Tanti i richiami metaforici alle gesta eroiche e valorose degli antichi romani, e anche il linguaggio richiama alla guerra, all’esercito, alle unità di combattimento tipiche delle legioni romane.
Il tema principale è il forte desiderio di ribellarsi all’oppressore straniero e raccogliersi sotto un’unica bandiera, creare uno stato unico: nel 1848 l’Italia era ancora divisa in sette Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma, Ducato di Modena).
E ancora tanti i riferimenti alle lotte e le battaglie per la libertà: la battaglia di Legnano, del 1176, durante la quale la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse l’imperatore Federico I di Svevia, il Barbarossa; l’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo; la rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese guidata nel 1746 dal leggendario Giambattista Perasso, detto Balilla; l’insurrezione della Sicilia contro il dominio angioino in quelli che furono i Vespri Siciliani.
Goffredo Mameli era repubblicano, mazziniano, giacobino, e sostenitore del motto nato dalla Rivoluzione francese Liberté, Égalité, Fraternité. Forte l’ispirazione, nella composizione del testo, all’inno nazionale francese, La Marsigliese: ad esempio, «Stringiamci a coorte» richiama il verso della Marsigliese, «Formez vos bataillon» (“Formate i vostri battaglioni”).
L’Inno di Mameli è ufficiale?
Gli inni patriottici come l’Inno di Mameli ebbero un ruolo fondamentale nella propaganda degli ideali del Risorgimento, per incitare la popolazione all’insurrezione.
L’Inno di Mameli fu ampiamente diffuso nei moti del 1848 e anche durante la spedizione dei Mille nel 1860, ma dopo l’unità d’Italia nel 1861 come inno nazionale fu scelta la Marcia Reale (1831): il Canto degli Italiani era caratterizzato da una decisa impronta repubblicana e giacobina e non si combinava con l’epilogo del Risorgimento, di matrice monarchica.
L’Inno di Mameli divenne l’Inno d’Italia soltanto nel 1946 su proposta del ministro della Guerra Cipriano Facchinetti, che lo suggerì come inno provvisorio. Ebbene, sembra che l’inno sia rimasto provvisorio fino ai giorni nostri. Sono recentissimi infatti gli eventi che lo vedono di nuovo protagonista: il 29 giugno 2016 è stata presentata alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati una proposta di legge per rendere il Canto degli Italiani inno ufficiale della Repubblica Italiana.
La proposta è stata approvata il 25 ottobre 2017, e il 27 ottobre, il disegno di legge è passato all’omologa commissione del Senato della Repubblica. Il 15 novembre 2017 il disegno di legge che riconosce il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e di Michele Novaro quale inno nazionale della Repubblica Italiana è stato approvato in via definita dalla Commissione Affari costituzionali del Senato. L’iter si è concluso definitivamente il 15 dicembre 2017″.
https://www.carmenwebdesign.it/la-liberta-di-creare-esercitare-la-propria-fede-educare/
Messaggio dei bambini ai grandi
Dici che sono il futuro: non mi cancellare dal presente.
Dici che sono la speranza della pace: non mi indurre alla guerra.
Dici che sono la promessa del bene. Non mi affidare al male.
Dici che sono la luce dei tuoi occhi: non mi abbandonare alle tenebre.
Non aspetto solamente il tuo pane. Dammi la luce ed esperienza.
Non desidero solo la festa del tuo affetto: ti supplico di educarmi con amore.
Non ti domando appena giocattoli: ti chiedo buoni esempi e buone parole.
Non sono un semplice ornamento del tuo cammino; sono qualcuno, che batte alla porta in nome di Dio.
Insegnami il lavoro e l’umiltà,
la preghiera e il perdono.
Compatiscimi, orientami, perché io sia buono e giusto.
Correggimi quando, è il momento, … anche se mi vedi soffrire.
Aiutami, oggi, perché domani io non ti faccia piangere.
testo – da una rivista del 1991 – sotto Natale
“Se vuoi trovare la fonte, devi salire, controcorrente”.
San Giovanni Paolo II
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/en/books/documents/hf_jp-ii_books_20030306_presentation-trittico-romano.html